Mes, Recovery Fund, Sure, Bei… comunque vada influirà sul nostro debito

di Dario Rivolta * –

Quando i partecipanti ad un negoziato non vogliono rompere definitivamente i loro rapporti futuri è naturale che in un comunicato finale si parli di un “accordo” raggiunto anche se le cose non stanno esattamente in quei termini. Nel caso non si sia ancora trovata una vera intesa, o si rilasciano un po’ di dichiarazioni fumose che sottolineano soltanto lo spirito di collaborazione esistente o si rinvia a riunioni successive premettendo che sono state poste le giuste basi.
È quanto successo dopo il Consiglio europeo del 23 aprile. Si è dichiarato, infatti, di avere raggiunto e condiviso il principio della creazione di un Recovery Fund europeo e si è rinviata la vera discussione ad un prossimo incontro. Ammettiamolo: si tratta pur sempre di un risultato positivo, perché l’alternativa sarebbe stata un fallimento totale e dichiarato.
Se vogliamo però restare sul piano della concretezza sappiamo che nessuno può dichiararsi veramente soddisfatto. Nonostante sia stata incaricata la Commissione europea di preparare entro il 6 maggio una bozza di accordo definitiva, tutti i contenuti restano da definire.
Innanzitutto, ed è la cosa per noi più importante, non c’è stata alcuna decisione sul fatto se questi ipotetici bond elargiranno danaro agli Stati che ne hanno bisogno sotto forma di prestito o di donazione a fondo perduto. La differenza non è di poco conto per un Paese già altamente indebitato come il nostro. Se si trattasse di una “donazione” dipenderà da noi saperne fare buon uso, ma se si trattasse di un prestito, qualunque siano la sua scadenza e il tasso di interesse, ciò significherebbe un ulteriore incremento del nostro debito pubblico. È vero che il continuo acquisto dei nostri bond nazionali da parte della Banca Centrale Europea ci protegge ora dal dover pagare interessi elevati per farceli comprare, ma un debito che il mercato internazionale giudicasse esagerato porterebbe prima o poi a farli classificare dalle società di rating come “spazzatura”. Il risultato sarebbe che nemmeno la BCE basterebbe più, da sola, a garantirci la liquidità necessaria al mantenimento del nostro bilancio pubblico.
Un altro aspetto di particolare importanza è da chi e come verrà emesso quel bond. Tedeschi, olandesi e austriaci (più i loro ascari) hanno, almeno fino ad ora, riconfermato la loro indisponibilità all’emissione di titoli comuni di debito. In altre parole rifiutano l’emissione di bond che siano europei a tutti gli effetti (cioè garantiti da tutti i Paesi insieme o dalla Commissione europea attraverso il proprio bilancio). Il Parlamento olandese ha perfino votato un provvedimento che impegna il proprio governo a rifiutare in ogni modo un tale tipo di operazione finanziaria.

Giuseppe Conte.
Il terzo punto ancora da chiarirsi è (sempre che questi bond siano davvero emessi) quale sarà il loro ammontare totale e i tempi per poterne fare uso. È chiaro che, vista la dimensione e i tempi della crisi in corso, per la nostra economia sarebbe indispensabile poter accedere a quei fondi prima dell’estate. Se così non fosse e il denaro fosse disponibile solo alla fine dell’anno (come qualcuno teme), il possibile disastro annunciato potrebbe diventare realtà.
Il governo ha già annunciato che il nostro debito pubblico passerà dall’attuale valore di circa il 137% del PIL a una cifra compresa tra il 150 e il 160%. Ora, il dibattito sull’utilizzo o meno del MES, pur senza condizioni, va considerato precisamente in questa chiave: se accettassimo di ricevere i 37 miliardi di cui si parla, essi arriverebbero necessariamente sotto forma di prestito e ciò significa che il nostro debito pubblico aumenterà ulteriormente. Possiamo permettercelo? È indubbio che noi si abbia bisogno di denaro e per questo abbiamo già dato per scontato di far ricorso al SURE, che tutelerà il mondo del lavoro dipendente. Anche il SURE tuttavia è un meccanismo basato sul concetto di prestito cioè un qualcosa che influirà sulla dimensione del nostro debito pubblico.
Come ciliegina sulla torta è bene osservare che il premier Giuseppe Conte, di là delle sue personali capacità vere o presunte, non ha potuto presentarsi alle negoziazioni forte del massimo dei consensi. Chiunque abbia avuto qualche esperienza commerciale sa che per essere negozialmente avvantaggiati è bene presentarsi con le spalle coperte. O con i propri sodali si decide di fare un gioco delle parti con un “buono” e un” cattivo” e si concordano i rispettivi compiti, oppure è necessario che chi siederà al tavolo appaia non poter disporre di alternative alla linea che sosterrà. Poi si tratta. Il fatto che all’interno della sua stessa maggioranza e per di più anche da una parte delle opposizioni (Forza Italia) si sia proclamata a gran voce la disponibilità ad accettare il meccanismo del MES ha sicuramente indebolito il presidente del Consiglio nella sua posizione annunciata di “eurobond o morte”. Se la cosa non vi è chiara immaginatevi di voler trattare un prezzo molto più basso rispetto a quello offerto dal venditore quando volete acquistare un qualsiasi oggetto. Se chi sta con voi dice a voce alta che il prezzo offerto “alla fine non è così male e si potrebbe accettarlo”, è chiaro che il venditore si sentirà incoraggiato ad insistere nella sua posizione e per voi sarà molto più difficile spuntarla.

Dario Rivolta.
Ad oggi non sappiamo ancora quale sarà il contenuto della proposta che la Commissione avanzerà e non è da escludere che possa includere, tra l’altro, l’idea dell’aumento del bilancio comunitario. A questo punto sorgerebbero altri problemi poiché l’uscita del Regno Unito ha già obbligato o a ridurre lo stesso bilancio o a sopperire al mancato contributo britannico con l’aumento dei versamenti di ogni stato membro rimasto. La questione si era già posta senza esito nel vertice del 20/21 febbraio, cioè ancora prima dello scoppio della crisi pandemica. La risposta non è uguale per tutti i 27 poiché all’interno dell’Unione alcuni Paesi sono contribuenti netti, altri riceventi netti. Il maggior contribuente netto (lo stanziamento è proporzionato alla dimensione dell’economia di ogni Paese) è la Germania, il secondo la Francia, ma il terzo siamo proprio noi italiani. A parità di spese comunitarie significa che anche il nostro saldo sarà a nostro maggior discapito. E anche questa decisione influirà sul nostro debito.
Soltanto l’emissione di un bond europeo comune, garantito contemporaneamente da tutti, sia esso coronabond, eurobond, recoverybond o comunque lo si voglia chiamare, ci consentirebbe di ricevere fondi dal mercato dei capitali senza stressare più di tanto il nostro debito pubblico ed esporci alla gogna dei mercati.
In conclusione, la trattativa vera è ancora aperta e non si sa come potrà finire. È bene che la porta non si sia chiusa, ma l’ipotesi che si possa portare a casa quel “grande successo” che Conte ha già annunciato è tutta ancora da dimostrare.
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* Già deputato, è analista geopolitico ed esperto di relazioni e commercio internazionali.