Messico. Peña Nieto candida alla Corte suprema un procuratore che negò il massacro di Tlatlaya

di Marco Dell’Aguzzo

imageLa settimana scorsa Enrique Peña Nieto ha presentato una lista di sei nomi al Senato della Repubblica (una delle due camere che, assieme a quella dei Deputati, forma il Congresso, che esercita il potere legislativo) perché questo elegga due nuove giudici della Corte suprema di giustizia della nazione (SCJN). Nella lista compaiono due candidati che, oltre ad avere scarsa esperienza nella magistratura, in passato hanno collaborato a stretto contatto con il presidente.
Uno dei due, Alejandro Gómez Sánchez, è stato prima vice procuratore dello Stato del Messico quando Peña Nieto era governatore (2005-2011), poi consigliere giuridico del governo federale sotto l’attuale presidenza fino al maggio 2014, e infine è stato nominato procuratore della Giustizia dello Stato del Messico dall’attuale governatore Ávila (anche lui membro del PRI).
La candidatura di Gómez Sánchez è stata criticata in Messico non soltanto alla luce dei suoi evidenti legami con Peña Nieto, ma anche perché l’uomo, in quanto a capo della Procura generale della giustizia dello Stato del Messico (PGJEM), diffuse e difese la prima ricostruzione dei fatti avvenuti il 30 giugno 2014 a Tlatlaya, Stato del Messico.
Secondo la versione ufficiale, quel giorno ventidue civili – indicati come “criminali” – persero la vita a seguito di uno scontro armato con alcuni soldati dell’Esercito messicano, i quali avrebbero aperto il fuoco esclusivamente per legittima difesa. Inchieste giornalistiche e investigazioni indipendenti (come quella della Commissione nazionale dei diritti umani) hanno dimostrato come a Tlatlaya si siano consumate in realtà delle esecuzioni extragiudiziali ad opera dei militari. Inoltre, sette agenti della PGJEM – e quindi sottoposti di Gómez Sánchez – hanno arrestato, torturato e violentato tre donne testimoni del massacro: solo per quattro di loro è stato avviato un procedimento penale, ma attualmente sono in libertà e non sono stati rimossi dal loro incarico. Lo scorso ottobre Salvador Cienfuegos, segretario della Difesa e militare egli stesso, ha continuato a difendere la ricostruzione ufficiale del “caso Tlatlaya”, dichiarando che i soldati avrebbero semplicemente risposto all’aggressione di alcuni «delinquenti».
L’altro candidato alla Corte suprema che possiede legami con l’attuale presidente è Javier Laynez, oggi giudice del Tribunale federale della giustizia fiscale, che il 26 febbraio 2013 – appena un giorno dopo che Peña Nieto varò la sua contestata riforma dell’istruzione, che istituisce forme per la valutazione degli insegnanti e che secondo alcuni aprirebbe alla privatizzazione del settore scolastico messicano – contribuì a formulare l’accusa di frode fiscale contro Elba Esther Gordillo, al tempo presidente del Sindacato nazionale dei lavoratori nell’educazione (SNTE). Gordillo passerà circa due anni in prigione.
La Corte suprema di giustizia è uno dei cinque organi che, a livello federale, detengono il potere giudiziario; è composta da undici giudici, che esercitano il loro mandato, non rinnovabile, per quindici anni. È indipendente e possiede autonomia amministrativa, regolamentare e di bilancio. La SCJN esercita cinque funzioni principali: tra queste rientra il giudizio sulla legittimità costituzionale delle leggi e la soluzione di controversie costituzionali. Durante gli anni della sua presidenza (2006-2012), Felipe Calderón cercò di far riconoscere alla Corte suprema anche l’iniziativa delle leggi, ma la controversa proposta non venne accolta nelle riforma costituzionale dell’agosto 2012.

Nella foto: Alejandro Gómez Sánchez.

Twitter: @marcodellaguzzo.