Messico. Studenti rapiti e uccisi: Enrique Peña Nieto sconta la rabbia popolare

di Manuel Giannantonio –

messico marcia pro studentiDiversi autobus di manifestanti hanno percorso i vari Stati messicani più colpiti dalle violenze per sensibilizzare la popolazione sulla drammatica situazione in cui versa il paese. Una situazione alla quale nessuno si è fino ad oggi opposto, come spiega Omar Garcia, uno dei leader degli studenti della scuola di Ayotzinapa, la stessa che ospitava i 43 liceali scomparsi lo scorso 26 settembre a Iguala: “È il problema dell’insicurezza, della corruzione, dei legami tra politici al potere e narcotrafficanti – afferma – . L’opinione pubblica internazionale sa bene che non è un problema locale: è un problema nazionale che è stato oscurato per troppo tempo mentre pretendevano di dare un’immagine del paese in pace. È un problema che noi tutti messicani, viviamo quotidianamente ma che non osiamo denunciare”.
I messicani non credono più ai governi locali, accusati di corruzione e di connivenza con gruppi criminali legati al traffico di droga, un malcostume coinvolge anche le autorità federali. I manifestanti reclamano le dimissioni del presidente Peña Nieto, ma la crisi di fiducia si estende a tutto il sistema politico nazionale, percepito come corrotto fin dalle fondamenta.
È senza dubbio la crisi politica più importante dall’elezione di Enrique Peña Nieto nel 2012. In occasione della sua campagna elettorale aveva promesso di lottare contro la corruzione, tuttavia la popolazione non è più disposta ad aspettare e non crede più alle sue promesse e a quelle del suo partito (Partito Rivoluzionario Istituzionale, Pri), di cui faceva parte il sindaco di Iguala José Luis Abarca, considerato la mente che ha portato all’uccisione dei 43 studenti, nonché molto vicino all’organizzazione criminale Guerreros Unidos. Dopo il dramma le manifestazioni si sono succedute per esigere la verità sulla sorte degli studenti, che, stando alla ricostruzione fatta dal procuratore generale sulla base delle confessioni di tre Guerreros Unidos arrestati, sono stati uccisi in modo barbaro, persino bruciati vivi.
Queste manifestazioni d’opposizione potrebbero svolgere un ruolo di primaria importanza nella storia del paese. Il passato ci rivela che alcune manifestazioni sono state represse nel sangue, come per il massacro di Tlatelolco del 1968, dove caddero sotto i colpi della polizia 300 studenti.
nel 1968, con centinaia, forse migliaia di morti.
Dala guerra al narcotraffico, lanciata nel 2006 dal presidente Felipe Calderon, i morti sono stati 140mila, per cui la gente non tollera più la corruzione lacerante e la violenza in crescita.
Nei giorni scorsi alcune manifestazioni sono state inevitabilmente segnate da atti di violenza e di vandalismo specialmente nello Stato di Guerrero, dove la sede del Partito al potere è stata incendiata. Il presidente Enrique Peña Nieto ha lanciato un avvertimento contro qualsiasi tentativo di destabilizzazione.
Difronte all’indignazione nazionale e internazionale provocata dal caso degli studenti scomparsi e della collaborazione del sindaco di Iguala con il gruppo criminale dei Guerreros Unidos, il presidente ha annullato la sua tournée in Asia ed ha accusato i gruppi criminali di “frenare lo sviluppo del paese”.
L’immagine di Peña Nieto si era comunque guastata già prima dei fatti di Iguala, in quanto accusato dalle opposizioni di cattiva gestione della cosa pubblica, di riforme inefficaci a fronte di un aumento della corruzione.
Critiche sono piovute per l’acquisto di una lussuosissima residenza, anche se ha dichiarato che “ho deciso di rendere pubblica la totalità della dichiarazione del mio patrimonio”.
Di certo sta cercando di evitare di gettare benzina sul fuoco evitando la repressione delle manifestazioni, nonostante il rischio che possano degenerare.