Myanmar. L’ICJ condanna Naypyidaw per il genocidio del popolo Rohingya

di Alberto Galvi –

Nei giorni scorsi l’ICJ (International Court of Justice) dell’Aja, attraverso una sua sentenza, ha ordinato al governo di Myanmar di utilizzare tutti i provvedimenti in suo poter, per prevenire qualsiasi atto di genocidio contro gli oltre 700 mila musulmani Rohingya che, all’inizio del 2017, erano circa un milione.
Le persone appartenenti a questa minoranza etnica sono fuggite attraverso il confine in Bangladesh, nel mezzo di una sanguinosa repressione militare contro i militanti di un gruppo di ribelli Rohingya chiamato Arsa nell’agosto 2017. Le forze di sicurezza di Myanmar hanno affermato che stavano conducendo una campagna per ripristinare la stabilità e l’ordine nella regione occidentale del paese.
In seguito alle indagini condotte dalle Nazioni Unite è stato scoperto che la campagna militare lanciata dall’esercito di Naypyidaw contro i Rohingya è stata condotta con intento genocida, attraverso bande di buddisti locali.
Questi gruppi avevano risposto ai ribelli del gruppo etnico Rohingya bruciando i loro villaggi e uccidendo civili. Il governo di Myanmar aveva invece dichiarato di rispondere agli attacchi ai posti di sicurezza dei ribelli Rohingya dell’Arsa, nello stato nord-occidentale di Rakhine.
Gli appartenenti a questa minoranza etnica sono considerati immigrati clandestini del Bangladesh, anche se molti di loro hanno le loro radici nel Myanmar già da secoli .Il governo rifiuta però di concedere loro la cittadinanza, e di conseguenza vengono considerati apolidi.
L’ICJ ha ordinato al Myanmar di riferire in merito ai progressi fatti nel garantire che i suoi militari non commettano atti di genocidio. Gli ordini sono vincolanti per il paese asiatico e creano obblighi legali che devono essere eseguiti.
La sentenza del tribunale è arrivata in risposta a una denuncia presentata lo scorso novembre dal governo gambiano, stato dell’Africa occidentale, per conto dell’OIC (Organization of the Islamic Conference) composta da 57 nazioni, accusando Myanmar di violare la Convenzione sul genocidio del 1948.
La sentenza è chiaramente a sfavore del governo di Myanmar, ed in particolare alla leader birmana Aung San Suu Kyi, vincitrice del Premio Nobel per la pace nel 1991 e che il mese scorso aveva esortato i giudici dell’ICJ a respingere le accuse secondo cui l’esercito di Myanmar avrebbe commesso un genocidio. Naypyidaw dovrà indagare su queste violenze e perseguire civili e militari che potrebbero aver partecipato al saccheggio o al rogo dei villaggi.
I rifugiati Rohingya hanno invece elogiato il governo gambiano e la comunità internazionale per aver portato la questione davanti all’ICJ. La sentenza è stata acclamata dai rifugiati come la loro prima grande vittoria legale da quando sono stati costretti a lasciare le loro abitazioni.
In seguito alla sentenza della ICJ il Consiglio di sicurezza dell’ONU potrebbe approvare una risoluzione per eliminare tutte quelle restrizioni a cui vengono sottoposti i Rohingya a Myanmar. Il grosso problema per questa risoluzione sono i veti di Cina e Russia per proteggere il governo di Naypyidaw e le sue forze armate.