Nucleare “made in China”

di C. Alessandro Mauceri

Sebbene molto più lento di quanto si vorrebbe far credere, il cammino verso l’abbandono dei combustibili fossili (tutti, inclusi quelli spacciati per energia green come il gas naturale) è inarrestabile.
Per contro il ricorso a fonti energetiche rinnovabili come il fotovoltaico e l’eolico è ancora lontano dall’essere in grado di soddisfare la richiesta di energia. Un problema questo che riguarda in modo particolare i paesi industriali dove, in barba a tutte le promesse di miglioramento dell’efficienza energetica, la domanda di energia continua a crescere anno dopo anno.
In questo scenario complesso, da esso dipendono anche i rapporti tra paesi consumatori e paesi esportatori di energia, un ruolo di primo piano è legato all’utilizzo del nucleare. Nonostante il pesante fardello legato alle scorie radioattive e il ricordo ancora vivo di incidenti con conseguenze devastanti e incontrollabili, questa fonte di energia a zero emissioni di CO2 continua ad avere un futuro.
A spostare l’ago della bilancia a favore del nucleare potrebbe essere la tecnologia dei cosiddetti reattori a sali fusi. Nata negli anni ‘60, questa tipologia di reattori nucleari utilizza sali di cloruro per il raffreddamento del nocciolo. Tra le peculiarità di questi impianti le dimensioni estremamente ridotte che permettono di costruire impianti in tempi più rapidi. Ma soprattutto la possibilità di produrre energia elettrica con un EroEI, ritorno energetico sull’investimento energetico, molto elevato, pari a 1200, a fronte di un rendimento un ERoEI compreso tra 18 e 43, ad esempio per il carbon fossile. L’aspetto più importante però è che le scorie processate hanno un decadimento molto più veloce, tra 200 e 300 anni, rientrando così tra le scorie radioattive di primo e secondo livello che più facilmente stoccabili. Tra gli svantaggi vi è l’elevata corrosione dei materiali legata all’alta temperatura e ai sali utilizzati. Oggi però nuove scoperte permettono l’utilizzo di materiali resistenti alla corrosione salina. É per questo motivo che molti stanno pensando di ricorrere a questo tipo di centrali nucleari per produrre energia elettrica.
A mostrare grande interesse per questo modo di produrre energia elettrica è soprattutto la Cina. Nel novembre 2016 il XIII Piano quinquennale per la produzione di energia presentato dalla National Energy Administration (NEA) suggeriva di limitare l’uso del carbone a 1100 Gwe entro il 2020. Ma i dati relativi al 2019 parlano ancora di oltre il 69% (5045 Twh) dell’energia prodotta ricorrendo a combustibili fossili. Nonostante gli sforzi compiuti, le fonti energetiche rinnovabili non sono riuscite fino ad ora a soddisfare la domanda di energia, peraltro in continuo aumento: il gas naturale serve a produrre 110 GWe, l’idroelettrico 340 GWe, l’eolico 210 GWe e il solare 110 GWe, di cui 60 GWe fotovoltaici. Per questo motivo nel settembre 2020 il premier cinese ha annunciato che servono grandi cambiamenti per consentire al paese di ridurre le emissioni di CO2 prima del 2030 e diventare carbon neutral entro del 2060. Cambiamenti che potrebbero derivare dal ricorso al nucleare.
Dal 2010 ad oggi la Cina ha investito circa 818 miliardi di dollari nella generazione di energia rinnovabile, rappresentando il 30% degli investimenti totali globali nello stesso periodo, afferma il Libro bianco. Ma il governo di Pechino non ha mai rinunciato al nucleare. In Cina, alla fine del 2019, la capacità totale installata delle centrali nucleari in costruzione e in funzione ha raggiunto i 65,93 milioni di kW, la seconda quantità più grande al mondo. Le stime parlano di un aumento della quantità di elettricità generata in Cina grazie all’energia nucleare di nove volte entro il 2040, fino a 1.200 miliardi di chilowattora dai 135 miliardi di chilowattora nel 2014. Negli ultimi anni sono stati costruiti decine di nuovi impianti per la produzione di energia nucleare. Solo nel 2019 il governo cinese che ha rilasciato licenze di costruzione per la centrale nucleare di Zhangzhou, nella provincia del Fujian, e per la centrale nucleare di Taipingling ,nella provincia del Guangdong. Il 2 settembre scorso sono stati approvati altri due progetti di costruzione per reattori a Changjiang, nella provincia di Hainan, e a San’ao, nella provincia di Zhejiang. Oggi sono quasi una sessantina gli impianti attivi o in via di definizione. “La Cina attribuisce uguale importanza alla sicurezza e allo sviluppo ordinato del nucleare”, si legge nel documento programmatico. Anzi, vanno “rafforzate la gestione e la supervisione di tutta la vita della pianificazione dell’energia nucleare, la selezione del sito, la progettazione, la costruzione, il funzionamento e lo smantellamento, e ha adottato le tecnologie più avanzate e gli standard più severi per l’industria dell’energia nucleare”. Una scelta legata al ricorso ai progressi nelle “tecnologie di frontiera multipla, comprese quelle associate ai reattori veloci e ai piccoli reattori modulari avanzati”. Oltre ai reattori nucleari ad acqua pressurizzata come Hualong One, il paese sta sviluppando un piccolo reattore modulare multiuso, noto come ACP100, e un cosiddetto reattore raffreddato a gas ad alta temperatura di quarta generazione, e un reattore autofertilizzante di quarta generazione.
Strategia geoenergetica che mira non solo a soddisfare il fabbisogno interno ma anche a ridurre sensibilmente la dipendenza dai combustibili fossili entro il 2040.
La scelta del governo cinese non riguarda solo il territorio nazionale. In molti considerano questa una nuova opportunità di mercato: acquisire il controllo di settore chiave delle fonti energetiche. Per questo, sostenuta da tale tecnologia nucleare, aziende cinesi hanno partecipato a diversi appalti internazionali per la costruzione di centrali nucleari. E sono già molti i contratti stipulati.
Una decisione che ha finito per influenzare anche i negoziati in corso tra l’Unione Europea e la Cina, bruscamente interrotti poche settimane fa a seguito di ulteriori richieste di energia nucleare da parte del governo di Pechino. Durante i negoziati la Cina avrebbe chiesto alle controparti europee di considerare la propria tecnologia in questo campo come “più avanzata”. “La Cina vuole investire nelle centrali nucleari europee e utilizzare la tecnologia cinese in questo settore”, ha affermato un giornale tedesco.
Esportare la propria tecnologia in Europa, dove gli impianti sono spesso vecchi e obsoleti, consentirebbe alla Cina di acquisire il controllo di infrastrutture “sensibili”. Un rischio potenziale percepito nel Vecchio continente ma anche oltre oceano: Jake Sullivan, consigliere per la sicurezza nazionale del team del nuovo presidente Biden, ha riportato su Twitter che Washington ha accolto favorevolmente le prime consultazioni con i suoi partner europei circa “preoccupazioni comuni sulle pratiche economiche della Cina”.
La Cina intanto ha firmato un accordo di cooperazione con l’Argentina per la costruzione di un reattore nucleare per la produzione di energia elettrica. La sua presenza continua ad espandersi anche in Medio Oriente dove nell’ultimo periodo è cresciuto l’interesse per l’energia nucleare e la costruzione di centrali nucleari. Secondo le stime dell’Agenzia internazionale per l’energia atomica, la capacità di generazione di energia nucleare in Medio Oriente e Asia meridionale ammontava a 6 milioni di kilowatt nel 2012. Entro il 2030 si prevede che questa capacità aumenterà da 4,5 volte a 9 volte. Ciò comporterà costruire nuovi reattori nucleari principalmente nei paesi emergenti. Reattori spesso “made in China”. Nel 2012 Arabia Saudita e Cina hanno firmato un accordo per rafforzare la cooperazione nello sviluppo e nell’uso dell’energia atomica per scopi pacifici. E nel 2017 la CNNC ha firmato un memorandum d’intesa con il Saudi Geological Survey per esplorare e valutare le risorse di uranio e torio. Ma non basta. Anche con l’Iran la Cina ha sottoscritto un accordo di cooperazione nucleare che prevede la costruzione di due centrali con reattori Hualong One in questo paese. E un altro reattore sempre di progettazione cinese è già in costruzione in Pakistan.
Tutti fattori che lasciano prevedere un sempre maggiore ricorso dell’energia prodotta mediante il nucleare. Anzi al nucleare “made in China”. Un percorso che durerà decenni, i costi di realizzazione degli impianti nucleari, anche quelli più piccoli e di ultima generazione, non possono essere giustificati con investimenti a breve termine. Ma questo significherà rendere il New Green Deal da sempre sbandierato dalla Commissione europea sempre più difficile.
Sotto questo punto di vista la decisione di spostare l’obbligo di ridurre le emissioni di CO2 in Europa sembra essere più Red che Green.