Obama lancia il suo piano di intervento contro l’Isil. Dopo i molti pasticci dell’alleato Qatar

di Enrico Oliari – 

obama tv grandeIntervenendo a reti unificate in occasione dell’11 settembre, il presidente degli Stati Uniti, Barak Obama, ha reso noto sostanzialmente di aver autorizzato una nuova guerra, il cui obiettivo è quello di distruggere il gruppo qaedista dell’Isil (Stato islamico del l’Iraq e del Levante, detto anche Is, o Isis, o Daesh), specialmente dopo le ripetute minacce all’Occidente e le barbare uccisioni di ormai migliaia di appartenenti alle minoranze etniche e religiose che gli jihadisti hanno incontrato nella loro avanzata.
Agli americani e al mondo Obama ha detto che “Oggi vi annuncio che l’America guiderà una larga coalizione per sconfiggere la minaccia terroristica posta dall’Isil. Con un obiettivo chiaro: noi indeboliremo e infine distruggeremo Isil attraverso una strategia di azione antiterroristica prolungata e onnicomprensiva”.
Meglio tardi che mai, si potrebbe borbottare. In realtà la politica estera dell’amministrazione Obama è sembrata assecondare un po’ troppo le mire del Qatar, alleato economico di ferro dell’Occidente, in quella che è una guerra diplomatica, giocata sui fronti dei paesi vicini, fra Doha e Riyadh per contendersi il ruolo di interlocutore con l’Ovest e soprattutto di dettare legge nel mondo arabo. Dietro ai Fratelli Musulmani in Egitto, Ansar al-Sharia in Libia, Ansar Dine in Mali, Hamas a Gaza e via dicendo, spunta costantemente la bandiera del Qatar, per cui l’Isil apparire oggi come un gruppo nato, cresciuto e finanziato grazie alla monarchia del Golfo, alla quale però è poi sfuggito di mano, fino ad appiattirsi, nel 2013, su al-Qaeda.
A sostegno di questa tesi si potrebbero formulare diversi esempi, basti pensare che in Libia, in più occasioni i miliziani opposti ad Ansar al-Sharia hanno dato fuoco agli uffici della Qatar Airways ed hanno impedito l’atterraggio degli aerei della stessa compagnia; in Mali, nel maggio 2012, i secessionisti di Ansar Dine e del Mnla (poi trovatisi avversari) hanno proclamato l’effimera “Repubblica islamica dell’Azawad”, durata solo un giorno, ma subito riconosciuta proprio dal Qatar; in Egitto sempre il Qatar è stato il carburante dei Fratelli Musulmani di Mohammed Morsi ed oggi, dopo che in più occasioni sono state perquisite le sedi al Cairo della tv qatarina al-Jazeera e ne sono stati arrestati i giornalisti, i leader dei Fratelli Musulman non arrestati si trovano in esilio a Doha; il 20 agosto di quest’anno la monarchia del Qatar ha avvertito il leader di Hamas, Khaled Meshaal, che lì abita, che se avesse firmato le trattative in corso con Israele in Egitto, sarebbe stato espulso dal paese; sempre il Qatar ha stanziato oltre 500 milioni di dollari in aiuti umanitari a Gaza e 1.000 dollari ad ogni palestinese che ha perso la sua casa sotto i raid israeliani.
Ed il Qatar è stato, nelle varie riunioni della Lega Araba, il più acceso avversario di Bashar al-Assad, sostenendo posizioni ad oltranza tali che gli organizzatori di un summit in un’occasione arrivarono a togliere la corrente elettrica alle sale per lasciare al buio le delegazioni qatarine e saudite, in modo da farle smettere di litigare.
Che dietro all’Isil ci sia stato il Qatar non ne hanno avuto ombra di dubbio neppure i tedeschi: il 25 agosto la cancelliera tedesca Angela Merkel si è scagliata contro il proprio ministro allo Sviluppo, Gerd Mueller, il quale è intervenuto sul canale televisivo pubblico ZDF affermando: “Un suggerimento: chi finanzia queste truppe dell’Isil? Il Qatar”. Mueller ha così completato la battuta del collega vicecancelliere e ministro dell’Economia Sigmar Gabriel, il quale era intervenuto in un dibattito ponendosi la domanda su chi finanzia il gruppo qaedista, cioè uno Stato, ma senza dare nessuna indicazione.
Quanto sopra spiega il ritardo (Fallujah è caduta in gennaio) con cui Obama sceglie di intervenire contro l’Isil, dopo che alla seduta della Lega Araba del Cairo di qualche giorno fa anche il Qatar ha preso le distanze dallo Stato Islamico, dopo che sono state tagliate le teste di giornalisti americani e comunque precisando che l’intervento Usa non andrà a vantaggio di Bashar al-Assad (cosa a dire il vero un po’ improbabile).
Il piano di intervento di Obama, che con enfasi da detto che “C’è un principio di fondo nella mia presidenza: chi minaccia l’America non troverà un posto sicuro dove rifugiarsi …perciò ecco la mia strategia”, si articola su alcuni punti precisi:
– intensificazione massiccia dei raid aerei, in Iraq come anche in Siria;
– appoggio alle forze curde e irachene sul campo. La cosa vale solo per lo scenario iracheno, non siriano, sia perché avvantaggerebbe Bashar al-Assad, sia perché darebbe il via libera ai russi, alleati e sostenitori di Damasco, di entrare nel paese mediorientale. L’appoggio ai curdi è d’obbligo, anche perché gli unici ad opporsi fattivamente all’avanzata dell’Isil, ma presenta l’effetto collaterale di fornire di armi coloro che hanno sempre sperato in una secessione da Baghdad e comunque potrebbe favorire la nascita, auspicata da molti ed oggi non osteggiata persino dalla Turchia, di uno Stato curdo.
– presa in considerazione del problema della presenza di cittadini americani ed europei nelle file dell’Isil, un argomento che Obama conta di portare alla prossima Assemblea generale delle Nazioni Unite. In Gran Bretagna è stato proposto di togliere la cittadinanza ai cittadini britannici che partecipano all’organizzazione qaedista.
– assistenza umanitaria ampia e pianificata, rivolta alle popolazioni in fuga dai conflitti e alla moltitudine di profughi.
Obama punta ad una coalizione internazionale (si sono già fatte avanti una quarantina di nazioni, fra le quali l’Italia), anche se ha assicurato che la guerra sarà più simile a quelle condotte in Yemen e in Somalia che a quella contro l’Iraq, ovvero colpire obiettivi specifici e non procedere con una vera e propria invasione di terra.
Anche la Turchia si è oggi detta “pronta a collaborare con la comunità internazionale non solo per sconfiggere lo Stato islamico ma anche per liberare il popolo siriano dalla tirannia del regime di Assad”: in questo caso possiamo assistere ad una sorta di “ripensamento”, dal momento che è risaputo che buona parte dei miliziani dell’Isil, specialmente nordafricani, che sono entrati nel nord della Siria sono passati proprio dal confine turco.
Una fonte del governo di Ankara ha poi precisato all’Afp che “La Turchia non parteciperà ad alcuna operazione armata ma si concentrerà interamente sulle attività umanitarie” ovvero che “La Turchia non sarà coinvolta in alcuna operazione di combattimento e non fornirà alcuna arma”.