Polonia. Riforma della Giustizia: Kaczynski fa marcia indietro

Per non incorrere nell’articolo 7 del Trattato di adesione all’Ue.

di Guido Keller

La pressione dell’Unione Europea ha spinto la Polonia a ritirare alcune norme della controversa riforma della Giustizia voluta dal Partito Diritto e giustizia (PiS) al potere.
La riforma è stata varata tre anni fa, e nel settembre 2018 la Polonia è stata deferita alla Corte di giustizia dell’Unione Europea per un impianto legislativo che attribuiva tra l’altro la scelta dei giudici della Corte suprema al Parlamento (e quindi della maggioranza al potere), al ministro della Giustizia (e quindi al governo) una forte influenza sulla Corte suprema e la nomina dei presidenti dei tribunali ordinari al ministro della Giustizia (e quindi al governo). Prevedeva inoltre un organo di controllo sulla magistratura, cosa che non avrebbe garantito la libertà e l’indipendenza dei giudici, come pure la possibilità di sottoporli a processo penale o a tagliarne gli stipendi.
Ad insistere per l’attuazione della norma era stato l’euroscettico Jaroslaw Kaczynski, leader di Diritto e Giustizia e soprattutto uomo forte di cui l’allora premier Beata Szydlo era solo un prestanome. Un’iniziativa che aveva scatenato corpose proteste di piazza, ma anche il presidente della Repubblica Andrzej Duda, proveniente dallo stesso partito, aveva sul momento posto il veto alla riforma rispedendola al Parlamento.
Nel luglio di quest’anno la Corte di giustizia dell’Unione Europea ha dato ragione a Bruxelles, da qui il ripensamento di Kaczynski per non incorrere nell’articolo 7 del Trattato di adesione: esso fornisce un meccanismo per prevenire le violazioni dei valori dell’Ue e permette di comminare sanzioni contro lo Stato membro interessato.