Rabia, città irachena liberata dall’Isis e lasciata al suo destino

di Giuliano Bifolchi * –

rabiaRabia, città irachena al confine con la Siria, è stata liberata 18 mesi fa dai peshmerga curdi che sono riusciti a sottrarla allo Stato Islamico. Dopo la liberazione le speranze per una vita migliore si sono subito scontrate con la realtà: la città, infatti, si presenta come uno spettro di quello che era in passato perché isolata a causa della guerra e costretta a dipendere dalla Regione Autonoma del Kurdistan per quel che riguarda la sopravvivenza dei propri cittadini.
La sfortuna della cittadina irachena è quella di trovarsi in una posizione geografica strategica, ossia sulla strada tra al-Shadadi in Siria e Mosul in Iraq, svantaggiata a causa del conflitto esistente tra le forze peshmerga e lo Stato Islamico e dai contrasti tra i curdi iracheni ed i curdi siriani.
Ad est di Rabia si trova Mosul, roccaforte dello Stato Islamico in Iraq e obiettivo prossimo della riconquista da parte delle truppe irachene e della coalizione; ad ovest il confine con la Siria chiuso dalle autorità curde per via dei contrasti con i curdi siriani. L’unica via quindi per la sopravvivenza è quella verso nord che spinge la città tra le braccia del Kurdistan, regione autonoma che presenta una forte diffidenza nei confronti degli arabi sunniti, i quali sono la maggioranza a Rabia.
Diffidenza dovuta al fatto che diversi arabi sunniti hanno prima favorito l’avanzata dello Stato Islamico e poi supportato la sua difesa contro le forze peshmerga fornendo aiuti economici, raccogliendo Intelligence e sostenendo la lotta armata (Report Kurdistan iracheno: scontri etnici ed interessi economici le cause di un prossimo conflitto). Come conseguenza di questo atteggiamento, oggigiorno in Kurdistan sia le truppe peshmerga che la popolazione curda nutre odio nei confronti di quegli arabi sunniti che, nel sostenere lo Stato Islamico, hanno causato la morte di molti soldati curdi.
La protezione di Rabia è garantita proprio dai peshmerga i quali hanno proibito agli arabi non residenti di entrare all’interno della loro regione; per tale motivo i cittadini di Rabia hanno bisogno di un permesso speciale il cui rilascio dalle autorità curde, come evidenziato dagli stessi abitanti, non avviene in maniera regolare.
Ad alcune famiglie dei villaggi circostanti, in aggiunta, non è stato permesso il ritorno alle loro case perché essendo queste famiglie arabe sunnite sono viste come simpatizzanti dello Stato Islamico. Alcune organizzazioni locali hanno anche denunciato la completa distruzione di villaggi vicini da parte delle forze peshmerga.
Lo sceicco Khaled Ahmad Safuq al-Shammari, capo della tribù araba Shammar, ha commentato l’isolamento della città e le difficoltà economiche sperando che le autorità curde possano riaprire il confine con la Siria per facilitare l’economia cittadina di Rabia e quindi far cessare questo isolamento.
L’essere dipendenti totalmente dal Kurdistan ha avuto gravi conseguenze sulla città i cui beni primari hanno subito un forte aumento nel prezzo; Rabia dipende dal commercio transfrontaliero e quindi la chiusura delle frontiere ha portato l’economia al collasso. Inoltre, l’impossibilità di essere in collegamento con il governo di Baghdad, il primo acquirente dei prodotti agricoli locali (in particolare la farina), ha influito ulteriormente sulla economia cittadina ed ha spinto diversi impiegati pubblici ad andare via a causa del continuo mancato pagamento dei salari.
Liberare l’Iraq dallo Stato Islamico è ovviamente l’obiettivo primario, ma non bisogna credere che una volta sconfitte le forze fedeli ad Abu Bakr al-Baghdadi il lavoro sia completo. Quello che la comunità internazionale dovrebbe comprendere è l’importanza di favorire la “normalità” all’interno dell’Iraq e permettere alla popolazione irachena, un crogiolo di etnie e confessioni religiose, di riprendere una vita dignitosa. Sfortunatamente lo Stato Islamico è riuscito in un obiettivo importantissimo, ossia aumentare l’odio tra persone di etnia e confessioni religiose differenti dando il via ad un processo di diffidenza, paura e scontri che potranno esplodere in un ulteriore conflitto armato.

bifolchi fuori* Giuliano Bifolchi. Analista geopolitico specializzato nel settore Sicurezza, Conflitti e Relazioni Internazionali. Laureato in Scienze Storiche presso l’Università Tor Vergata di Roma, ha conseguito un Master in Peace Building Management presso l’Università Pontificia San Bonaventura specializzandosi in Open Source Intelligence (OSINT) applicata al fenomeno terroristico della regione mediorientale e caucasica.