Rwanda. Paul Kagame fino al 2034?

di Valentino De Bernardis

Kagame paul grandeUna monarchia travestita da democrazia. E’ questo il futuro che attende il Rwanda? Sono molti gli indizi che nell’ultimo periodo lascerebbero credere ad una tale deriva dell’apparato statuale ruandese, tendenza tipica, peraltro, alla maggioranza delle democrazie del continente africani.
L’ultimo evento che sembra andare a suffragare la tesi iniziale è rappresentata dalle modifiche alla costituzione approvate dalla Camera bassa ruandese lo scorso 29 ottobre, circa la durata e il limite massimo di rielezione dei senatori, del presidente e dei vicepresidenti della Corte Suprema e, sopratutto, del presidente della Repubblica. Importantissimo quest’ultimo caso, perché si è nei fatti svuotato di contenuti l’architrave costituzionale dell’articolo 101, nel quale viene specificato come la carica presidenziale sia rinnovabile una sola volta, e che in nessuna circostanza possa essere concessa una deroga.
Scendendo nella cronaca dei fatti, dopo due giorni di dibattiti il primo ramo del parlamento ha difatti votato all’unanimità (75 parlamentari presenti su 80) l’emendamento che permetterà all’attuale presidente Paul Kagame di poter correre nel 2017 alla successione di se stesso. L’articolo 101 è stato superato attraverso la modifica dell’articolo 172 che ha accompagnato la modifica della durata presidenziale (da sette a cinque anni), con un “mandato presidenziale di transizione” il quale prevede la possibilità dell’attuale presidente non solo di ricandidarsi tra due anni, ma anche di poter cercare la rielezione nelle successive tornate elettorali con il nuovo sistema, allargando così potenzialmente l’orizzonte temporale della sua presidenza fino al 2034.
Una legislazione che pare quindi cucita su misura per il presidente Kagame, nonostante le dichiarazioni del presidente della camera Donatille Mukabalisa, pronta a definire le concessioni fatte al presidente in carica come necessarie al contesto socio economico nazionale, per preservare e dare continuità al percorso di sviluppo sostenibile intrapreso da Kigali.
L’azione parlamentare intrapresa dalla maggioranza di governo giunge a meno di tre settimane dalla bocciatura della Corte Suprema (8 ottobre) del ricorso presentato dal partito di opposizione Partito Democratico Verde (DGPR) contro ogni possibile modifica al limite massimo dei mandati presidenziali. Verdetto che sebbene contestato dall’opposizione, è stato, tra le altre cose, giustificato dalla stessa Corte come modifica costituzionale nata dal basso, con riferimento alla petizione popolare firmata da oltre 3,7 milioni di persone (su una base elettorale di circa sei milioni), presentata al parlamento in estate.
Ad oggi, l’opposizione del DGPR sembra rimanere l’unica entità politico-sociale organizzata contraria ai progetti legislativi della maggioranza, tanto da aver annunciato ulteriori iniziative politico-istituzionali come l’inizio di una campagna di sensibilizzazione in vista del futuro referendum confermativo a cui le modifiche costituzionali devo essere approvate (come previsto dall’articolo 193 della Costituzione). I dirigenti del DGPR hanno altresì ipotizzato in ultima istanza un possibile ricorso alla Corte africana dei diritti dell’uomo e dei popoli, così come la Corte di Giustizia delle Comunità dell’Africa orientale.
La modifica costituzionale nel paese dei Grandi Laghi ha incontrato il parere negativo dei donatori internazionali del Rwanda, con particolare riferimento agli Stati Uniti che, specialmente sotto l’amministrazione Obama, spingono per il rispetto delle regole del gioco democratico, senza modifiche costituzionali sul filo di lana fatte solamente per permettere ai presidenti in carica di superare i limiti dei mandati prefissati. Questione, tra l’altro, al centro dello storico discorso di Obama all’Unione Africana lo scorso 28 luglio, sintetizzato dal messaggio “nobody should be president for life”.
Il peso di una posizione statunitense contraria con il progetto politico delle istituzioni ruandesi potrebbe farsi sentire nel medio periodo, come stanno insegnando gli eventi che si susseguono nel vicino Burundi. Difatti, lo stesso giovedì in cui a Kigali si varavano le modifiche costituzionali raccontate, Washington annunciava l’intenzione di ritirare a Bujumburalo status di partner commerciale preferenziali per gli Stati Uniti a partire dal 1 gennaio 2016, come segno di protesta contro il presidente Pierre Nkurunziza, che forzando la costituzione lo scorso luglio è stato rieletto per la terza volta alla presidenza del paese, azzerando gli spazi politici dell’opposizione e quasi trascinando il paese sul baratro di una nuova guerra civile.

@debernardisv
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