Siria. Si muore di fame nei centri assediati. E gli aiuti vengono ridotti

di C. Alessandro Mauceri –

madaya grandeMentre i governi del mondo occidentale devono ancora capire bene come affrontare il problema profughi e rifugiati, in Siria, il paese da dove provengono la maggior parte di quelli che cercano di trovare una nuova vita in occidente, la situazione continua a peggiorare. A lanciare l’allarme è il rapporto di 3RP, la rete di 200 organizzazioni umanitarie che segue il programma regionale per l’assistenza di quattro milioni di profughi siriani in Iraq, Giordania, Libano ed Egitto, di cui l’Onu (attraverso l’Alto commissariato per i rifugiati – Unhcr) è l’attore principale.
Oxfam International  –  una coalizione di Ong che lotta contro l’ingiustizia e la povertà  –  aveva riportato che “Gli Stati devono dar prova di umanità”, piuttosto che soffermarsi sulle distinzioni tra rifugiati, migranti economici e richiedenti asilo. All’inizio del 2015 l’Onu aveva lanciato un appello per raccogliere 16,4 miliardi di dollari, di cui la metà sarebbe dovuta servire proprio per far fronte alla crisi siriana. Ma le sue richieste sono rimaste inascoltate. Secondo le stime diffuse in un rapporto del giugno scorso, nel quadro del programma regionale di pianificazione strategica (3RP), il deficit dei programmi dell’Onu per l’assistenza ai rifugiati siriani ha superato i 3,47 miliardi di dollari.
Anche quando alcuni aiuti vengono inviati alle popolazioni ancora sul territorio, raramente questi riescono a raggiungerle: nel 2014 meno di metà dei destinatari ha potuto beneficiare degli aiuti. In Siria le Nazioni Unite non sono state in grado neanche di far pervenire ai destinatari finali i pochi aiuti inviati. Sono 4,8 milioni le persone si trovano in difficoltà e che non hanno accesso agli aiuti perché si trovano in aree difficili da raggiungere.
Come sempre, a pagarne le conseguenze sono prima di tutto i bambini: nel 2014, sono stati 5,6 milioni i bambini dei campi profughi che hanno avuto bisogno di aiuti, il 31 per cento in più rispetto all’anno precedente. In alcune zone, la popolazione è ormai al limite della sopravvivenza.
Secondo fonti locali, nelle ultime settimane sono decine le persone che sono morte a causa degli stenti nelle città sulle montagne che separano il Libano dalla Siria. Molte altre sono morte sui campi minati mentre cercavano di fuggire in cerca di cibo. “Almeno 42mila persone rimangono a Madaya e sono a rischio di inedia”, ha affermato Yaqoub al Hillo, alto rappresentante Onu presso il governo siriano. Ma il problema è ben maggiore: questi non sono che un decimo dei 400mila profughi e civili da tempo intrappolati in località sotto assedio in diverse zone della Siria. A Dayr az Zor, nell’est del Paese, a Fuaa, a Kafraya, a al-Zabadani, e in molte altre zone teatro di scontri armati e di bombardamenti, ma anche nei campi profughi, vivono in condizioni estreme. Mancano tutti i beni di prima necessità come latte, riso, farina. E con l’arrivo delle nevicate la situazione è ulteriormente peggiorata: manca il combustibile per riscaldare le case e le tendopoli.
Anche Human Rights Watch ha lanciato l’allarme: “Gli abitanti di Madaya stanno morendo di fame, di mine antiuomo, di opportunismo e di una tregua interrotta. I sopravvissuti vivono in una sorta di prigione a cielo aperto” dove si cerca di vincere la fame e il freddo mangiando le foglie degli alberi, l’erba e acqua salata; come ha riferito Manal al-Abdullah in una intervista a Hrw: “Stiamo morendo in una gigantesca prigione chiamata Madaya. Siamo arrivati a un buco nero dopo il fallimento dell’accordo di tregua. Non vedo soluzione per la carestia che stiamo sopportando. Non ci lasciano scappare, né portare cibo dentro la città. Chiediamo al regime di arrangiare le proprie dispute senza coinvolgere i civili. Non possiamo durare a lungo”.
A peggiorare la situazione è il mercato nero. Human Rights Watch, ha denunciato che alcuni gruppi di commercianti starebbero approfittando della situazione nascondendo le proprie scorte per venderle a prezzi tra i più alti del mondo: un chilo di farina arriva a costare 90 euro, un litro di latte 25, un chilo di riso 80.
A parte gli Stati Uniti, che hanno donato 200 milioni di dollari in più arrivando a contribuire per quasi un miliardo, tutti gli altri paesi hanno ridotto i propri aiuti all’Unhcr. Anche i paesi del Golfo, impegnati nella compravendita di armi e armamenti e nel tentativo di risolvere i problemi interni legati al calo del prezzo del petrolio, hanno ridotto il proprio contributo, fatta eccezione per il Kuwait. La conseguenza è che i fondi a disposizione per aiutare i migranti in Siria e nei centri di accoglienza per i rifugiati non bastano più. Anche i pochi soldi (quattro dollari a persona al giorno) a disposizione per fronteggiare le emergenze stanno finendo. Una mancanza di aiuti che ha reso insostenibile la vita dei profughi e che non potrà che causare un’ulteriore ondata di profughi diretti verso l’Europa.