Sud Sudan. Il dinamismo dell’immobilità

di Valentino De Bernardis –

kiir salvaDinamismo nell’immobilismo per perpetuare lo status quo. Questa definizione riesce perfettamente a descrivere il quadro politico nazionale che i protagonisti delle istituzioni del Sud Sudan sembrerebbero, più o meno celatamente, a portare avanti.
Sin dalla sua indipendenza dal Sudan nel luglio 2011, il giovane Stato federale è stato da sempre attraversato da aspre tensioni politiche presto sfociate (dicembre 2013) in una sanguinosa guerra civile che vede contrapposti il presidente Salva Kiir Mayardit del Sudan People’s Liberation Movement (SPLM – Juba) e l’ex vicepresidente Riek Machar Teny Dhurgon leader del Sudan People’s Liberation Movement-in-Opposition (SPLM-IO), conosciuto anche come Anti-Governmental Forces (AGF), rappresentanti principalmente dei Nuer, una confederazione di tribù molto presenti nel sud del paese.
Sebbene sotto la pressione degli organismi internazionali, entrambi i blocchi si sono sempre professati a favore di una soluzione pacifica del conflitto. Annunci però sterili dato che i molteplici accordi di cessate il fuoco raggiunti negli ultimi due anni sono stati sempre disattesi, con accuse reciproche di non aver rispettato le condizioni stipulate. L’ultimo accordo in ordine cronologico è stato firmato ad Addis Abeba lo scorso 26 ottobre (Permanent Cease-fire and Transitional Security Arrangements), con l’obiettivo di (I) interrompere lo stallo seguito ai precedenti accordi di agosto 2015, (II) implementare i nodi della smilitarizzazione della capitale Juba per un perimetro di 25 km attorno alla città, (III) l’affidamento a 5mila guardie della gestione della sicurezza di caserme, basi e depositi, e quindi iniziare un percorso di armonizzazione tra le truppe di entrambi gli schieramenti ed arrivare entro un periodo di trenta mesi alla creazione di un unico esercito nazionale.
L’ottimismo con cui la comunità internazionale, specialmente africana ed europea, ha seguito e favorito gli accordi di Addis Abeba, come pietra miliare nel lungo percorso di pacificazione nazionale, è dovuto altresì ad un primo rientro in novembre delle opposizioni a Juba per avviare le trattative alla costituzione entro fine anno di un governo di transizione della durata di trenta mesi (Transitional Government of National Unity-TGoNU).
Lo scorso 19 novembre, però, la già difficile normalizzazione dei rapporti tra governo e ribelli ha ricevuto un duro colpo che potrà avere pesanti ripercussioni sulla formazione di un governo di transizione. Il partito di governo ha infatti votato a colpi di maggioranza  in parlamento alcune modifiche della Costituzione del 2011 che, stando a quanto denunciando dall’opposizione, andrebbe ad accentuare ancora di più l’eccessivo potere e controllo della carica presidenziale a sfavore del potere legislativo, di quello esecutivo e di quello giudiziario. Una direzione in completa antitesi alle indicazioni ricevute dalla Unione Africana di riequilibrare il rapporto di pesi e contrappesi tra i diversi poteri statuali.
Il terreno di scontro tra maggioranza e opposizione ha riguardato in particolare: articolo 162 che fissava in 10 il numero degli Stati della federazione, ora diventati 28 per ordinanza presidenziale; articolo 164 che fissava la modalità per la composizione delle assemblee legislative dei diversi Stati, modificato per permettere al presidente di nominare i membri dei 18 nuovi Stati durante il periodo di interim; articolo 165 che affida alla presidenza la nomina dei governatori, in consultazione con i residenti di ogni Stato durante il sopracitato periodo transitorio.
Il SPLM-IO denuncia che l’entrata in vigore delle modifiche costituzionali rappresenterebbe una violazione degli accordi di pace firmati ad agosto, basati sui rapporti di forza tra le parti su dieci Stati e non su ventotto, minacciando quindi di vanificare il lungo percorso di pacificazione nazionale già di per se molto fragile.
La decisione della maggioranza parlamentare di forzare la mano e votare degli emendamenti divisivi tra le diverse forze politiche, e certamente su cui l’opposizione non può essere disposta a trattare, è giunta il giorno successivo l’annuncio del governo di aver firmato un accordo preliminare di pace anche con il gruppo armato South Sudan National Liberation Movement (SSNLM) nello Stato del Western Equatoria, dando quindi apparentemente concretezza al progetto politico di dinamismo nell’immobilismo per perpetuare lo status quo.

Nella foto: il presidente del Sud Sudan Salva Kiir Mayardit.

@debernardisv
Le opinioni espresse in questo articolo sono a titolo personale.