Suriname. Dietrofront del presidente Santokhi sull’ambasciata a Gerusalemme

di Alberto Galvi

Il presidente del Suriname Chandrikapersad “Chan” Santokhi ha fatto marcia indietro su una controversa promessa di aprire l’ambasciata a Gerusalemme adducendo vincoli di bilancio; ha così annullato un annuncio fatto il mese scorso che aveva attirato critiche da parte di alcuni membri del Parlamento.
In un incontro con il suo omologo israeliano Yair Lapid, il ministro degli Esteri del Suriname Albert Camdin aveva annunciato a fine maggio l’intenzione del suo paese di aprire l’ambasciata a Gerusalemme, e i due avevano sottoscritto un accordo di consultazione tra i ministeri degli Esteri dei loro paesi.
Lapid si è anche offerto di inviare aiuti al paese latinoamericano a seguito delle catastrofiche inondazioni: alla fine di maggio Santokhi ha dichiarato che sette distretti su dieci del paese erano aree disastrate, e prontamente vi sono stati aiuti umanitari anche Cina, Paesi Bassi e Venezuela.
Il Suriname ha una piccola comunità ebraica: avrebbe seguito Honduras, Guatemala, Stati Uniti e Kosovo localizzando la propria ambasciata a Gerusalemme, decisioni che hanno fatto infuriare i palestinesi, che da tempo considerano Gerusalemme Est la capitale del loro futuro Stato. Alcuni paesi, tra cui Australia e Ungheria, hanno filiali di ambasciate o missioni commerciali a Gerusalemme, anche se la stragrande maggioranza delle nazioni mantiene le proprie rappresentanze diplomatiche a Tel Aviv.
L’iniziativa di Santokhi di spostare l’ambasciata ha suscitato critiche anche da parte di alcuni membri del Parlamento del Suriname in quanto l’annessione israeliana di Gerusalemme Est non è riconosciuta da gran parte della comunità internazionale. Il Suriname ha nominato a marzo un ambasciatore non residente, Stevanus Noordzee, in Israele. Santokhi non ha escluso la futura istituzione di un’ambasciata in Israele.