Turchia. La dottrina della “Profondità strategica” e la politica estera

di Armando Donninelli

La dottrina della “profondità strategica” consiste nel dare alla politica estera una precisa connotazione, ciò al fine di attribuire a chi la applica un ruolo centrale nella politica internazionale. Fu elaborata con preciso riferimento alla Turchia e alle sue peculiarità geografiche, storiche e culturali. L’applicazione di tale teoria consentì ad Ankara di ottenere una posizione importante nell’ambito delle relazioni internazionali. A dimostrazione della sua importanza va ricordato che ancora oggi, quando cioè il suo ideatore non ha più incarichi politici importanti, continua a essere applicata.

In cosa consiste.
La dottrina della “profondità strategica” fu elaborata all’interno di un libro pubblicato in Turchia nel 2001, intitolato “Profondità Strategica. La Posizione Internazionale della Turchia”, scritto da un politologo fino allora poco conosciuto, Ahmet Davutoglu.
In base ai contenuti di tale testo il Paese anatolico non dovrebbe limitarsi a essere una media potenza regionale bensì, in se alla sua posizione geografica e alle sue caratteristiche storiche e culturali, ambire a un ruolo di leadership regionale che lo renderebbe un protagonista di primo piano delle relazioni globali.
Nell’elaborazione di tale dottrina, Davutoglu critica la mancanza di visione e coscienza delle potenzialità del Paese anatolico e cerca di fornire un rimedio a ciò. Non va difatti dimenticato che gli anni novanta del secolo scorso furono un periodo complessivamente negativo per la politica estera di Ankara che, per sua colpa, non riuscì a colmare il vuoto politico ed economico derivante dal crollo dell’Unione Sovietica, frustrando così i sogni pan turchi.
Davutoglu supporta la sua teoria anzitutto in base al dato, oggettivo, che la Turchia gode di assoluta centralità geografica in una vasta e importante area che comprende Balcani, Mar Nero, Caucaso, Mediterraneo Orientale, Golfo Persico ed Asia Centrale. Ciò renderebbe Ankara come l’interlocutore indispensabile per risolvere i problemi che riguardano i paesi di tale area e per cercare una qualche forma di collaborazione tra essi.
L’altro pilastro su cui l’autore basa le sue argomentazioni è l’eredità storica e culturale lasciata dall’Impero Ottomano alla Turchia. Tale lascito, secondo Davutoglu, porterebbe Ankara a essere il naturale punto di riferimento dei paesi un tempo sottoposti al controllo della Sublime Porta. Per suffragare tale impostazione cita tutta una serie di scontri bellici in cui parte della popolazione locale si è appellata alla Turchia come protettore. Tra i casi citati i più recenti, rispetto al periodo di pubblicazione del libro, sono quelli dei conflitti nei Balcani e nel Nagorno-Karabakh.
Secondo quanto emerge dal libro, la Turchia dovrebbe recuperare e valorizzare i legami di varia natura precedentemente citati. Ciò anzitutto evitando tensioni con i paesi dell’area geografica di cui Ankara sarebbe il naturale punto di riferimento, a tal riguardo all’autore conia l’espressione “zero problemi con i vicini”, ma anche sviluppando la collaborazione nei più vari settori, compreso quello militare.
In pratica Davutoglu riprende delle idee di collegamento con i paesi limitrofi, presenti da tempo nella vita politica turca, ma le ricollega a un ampio e lungo disegno strategico da cui il Paese anatolico dovrebbe emergere come indiscusso leader regionale.

Com’è stata applicata.
Nel 2003 Erdogan diviene Primo Ministro della Turchia e nomina proprio Davutoglu suo principale consigliere in politica estera, attribuendogli grande influenza. Questo è solo l’inizio di una brillante carriera politica che porterà il politologo a divenire nel 2009 Ministro degli Esteri e nel 2014 Primo Ministro. Da tali importanti posizioni Davutoglu applicò in maniera coerente ed efficace quanto da lui precedentemente teorizzato.
Cercò anzitutto di migliorare i rapporti con quei paesi limitrofi con cui in passato vi erano state tensioni di vario tipo.
In quest’ambito il caso più emblematico è quello del rafforzamento delle relazioni dal 2005 con la Siria, Paese con il quale nel 1998 si era sfiorato il conflitto armato a causa dell’appoggio di Damasco al PKK. La cooperazione si sviluppò molto in ambito economico e, anche grazie a ciò, Ankara riuscì ad ottenere un ruolo di mediatore nella difficile e complessa contrapposizione tra Siria e Israele.
Dietro la regia di Davutoglu migliorarono anche i rapporti con l’Iraq, ciò soprattutto grazie al riconoscimento da parte di Ankara del Governo Regionale del Kurdistan situato nel Nord Iraq. Fino allora la Turchia si era sempre ferocemente contrapposta a tale struttura autonomista, compromettendo in tale maniera le relazioni con il vicino arabo. Lo stesso Davutoglu nell’ottobre del 2009, da poco nominato Ministro degli Esteri, fu il primo politico turco di alto livello a recarsi nel Nord Iraq e a incontrare Masoud Barzani, allora Presidente del Governo Regionale del Kurdistan. Tale distensione consentì un notevole incremento delle relazioni politiche ed economiche tra Ankara e Baghdad.
Con una politica estera gestita sostanzialmente da Davutoglu, i rapporti migliorarono anche con l’altro potente vicino con cui in passato vi erano state pesanti tensioni, vale a dire l’Iran. I due paesi strinsero numerosi accordi di cooperazione in ambito energetico, dal chiaro significato politico, ma Ankara riuscì anche a ritagliarsi un ruolo da mediatore con l’Occidente in ordine alla delicata questione del nucleare iraniano.
Questi sono solo alcuni esempi di una politica regionale condotta in modo dinamico e con successo da Ankara, diretta a creare rapporti di buon vicinato e collaborazione con i paesi vicini, in conformità alla dottrina della “profondità strategica”.
In applicazione di quest’ultima vanno poi menzionati interventi in loco diretti al restauro di opere risalenti al periodo ottomano, ma anche iniziative dirette a favorire il progresso in ambito economico, sanitario e educativo. Ciò senza dimenticare le iniziative di Ankara dirette a valorizzare le affinità linguistiche con paesi dell’Asia Centrale e del Caucaso. Non a caso nell’ottobre del 2009 fu creata l’Organizzazione degli Stati turchi (OTS), comprendente attualmente cinque paesi turcofoni di quell’area, diretta a rafforzare la cooperazione nei più diversi ambiti tra essi, e in cui la Turchia ha una naturale posizione di leadership.

Risulati dell’applicazione della dottrina della “profondità strategica”.
A oltre vent’anni dall’inizio dell’applicazione della dottrina della “profondità strategica”, si può rilevare che quest’ultima abbia raggiunto parte dei suoi obiettivi. Del resto lo stesso Davutoglu avvertiva dei tempi lunghi e del complesso lavoro che essa necessitava.
Per quanto riguarda il Medio Oriente, oggi Ankara, anche se non si trova in una posizione di leadership, detiene un ruolo estremamente importante nella politica regionale. Diversi paesi della regione hanno, infatti, mantenuto i buoni rapporti instaurati da Davutoglu e vedono nel Paese anatolico un mediatore nei conflitti che coinvolgono la regione e un partner dal quale acquisire tecnologia, tutto ciò in sostituzione dell’Occidente, non sempre ben visto.
Senza però dimenticare che in Medio Oriente la dottrina elaborata da Davutoglu ha subito anche dei gravi fallimenti. Il primo è il progressivo deterioramento delle relazioni, un tempo ottime, con Israele, dovute all’avvicinarsi di Ankara ai movimenti islamisti. Un altro fallimento consiste nei rapporti costantemente tesi con l’Egitto governato da al-Sisi. Quest’ultimo, difatti, oltre a non perdonare a Erdogan di aver avuto stretti rapporti con i suoi predecessori al governo dell’Egitto, diffida del protagonismo turco nella Regione che in futuro potrebbe lasciarlo isolato.
Nella stessa ottica va poi menzionato il supporto fornito da Ankara dal 2011 ai gruppi armati ostili al regime siriano, tuttavia, a partire dall’incontro di Mosca del dicembre 2022 tra i rispettivi ministri della difesa, Turchia e Siria si sono progressivamente riavvicinate. Ankara, in particolare, sta cercando di ripristinare buone relazioni con Assad, ritenuto ora utile per contenere la minaccia dei curdi e per risolvere il problema dei circa tre milioni e mezzo di profughi siriani ufficialmente registrati nel proprio territorio. Molto peggiorate sono poi le relazioni con alcuni paesi del Golfo, in particolare Arabia Saudita ed Emirati Arabi. Ciò a causa del forte supporto, fornito da Ankara e avallato da Tehran, al Qatar, in pessime relazioni con i citati stati.
Nei Balcani gli interventi turchi, sotto molteplici forme, hanno fatto guadagnare al Presidente Erdogan una notevole popolarità tra la popolazione musulmana della Bosnia Erzegovina e del Kosovo che, in pratica, vedono in lui una sorta di protettore, anche militare, dalla temuta Serbia. Sempre vivi, difatti, sono per quelle popolazioni i tragici ricordi dei conflitti negli anni novanta del secolo scorso. Ciò, assieme al fatto che Erdogan è riuscito a instaurare un ottimo rapporto personale con i principali leaders regionali, fa sì che lo statista turco sia un punto di riferimento importante degli equilibri dell’area.
Nel Caucaso l’accresciuto ruolo internazionale di Ankara, dovuto all’applicazione della dottrina della “profondità strategica”, ha inevitabilmente rafforzato anche l’esecutivo di Baku, suo tradizionale alleato in contrapposizione all’Armenia, nella lotta per il controllo della contesa regione del Nagorno-Karabakh.
Nell’Asia Centrale il Paese anatolico dopo essere riuscito a rafforzare legami linguistici e culturali con alcuni paesi della Regione, ha stretto accordi con i medesimi nei delicatissimi settori della sicurezza e della fornitura di armi, dimostrando così il suo ruolo centrale in quel contesto geografico. Solo per citare i casi più importanti, basti pensare che nel 2010 la Turchia sia divenuta il principale fornitore di armi del Turkmenistan. Nel 2013 Turchia e Kazakhstan hanno costituito, con notevole impiego di capitali, una joint venture denominata Aseslan Engineering specializzata nella produzione di armi, anche tecnologicamente avanzate, destinate in parte ai paesi limitrofi. Nel 2015 Turchia e Kirghizistan si sono accordate per l’addestramento di ufficiali kirghizi nel Paese anatolico. Due anni dopo Ankara si è accordata con l’Uzbekistan per cooperare nella costruzione di armi di vario tipo.
La dottrina della “profondità strategica” è stata applicata anche al di fuori dell’ambito geografico in cui originariamente era prevista. La Turchia ha difatti realizzato numerosi interventi di aiuto allo sviluppo anche nell’Africa Subsahariana e in America Latina. Ciò ha creato la base per far si che successivamente Ankara, con alcuni accordi mirati, riuscisse ad acquisire anche una certa influenza politica in alcuni paesi delle aree citate.
Basti pensare, per quanto riguarda l’Africa Subsahariana, alla costituzione nel 2018 del Turkey ECOWAS Busines and Economic Forum, il cui scopo, perfettamente raggiunto, è incrementare le relazioni economiche tra Ankara e i paesi ECOWAS. Per l’America Latina si può menzionare il Turkey-CARICOM Consultations and Cooperation Mechanism, il cui primo vertice tra ministri degli esteri si è tenuto a Istanbul nel 2014, che ha reso Ankara un interlocutore importante per il CARICOM e la sua politica estera.
Nel 2016 Davutoglu si è dimesso dalla carica di Primo Ministro per contrasti personali con Erdogan e, da quel momento, non ha più assunto incarichi pubblici di rilievo. La politica di Davutoglu viene continuata solo in parte, difatti oggi Ankara gestisce le proprie relazioni estere in modo più pragmatico e meno ideologico, guardando più all’hard power che al soft power. Tale cambiamento è stato causato da un insieme di elementi interni, basti pensare al terrorismo, al tentativo di colpo di stato o alla pesante crisi economica, ma anche esterni. A tal riguardo si possono menzionare le complesse relazioni con Russia, USA, la vicinanza geografica con il lungo conflitto in Siria, ma anche la competizione energetica nel Mediterraneo Orientale in cui anche Ankara è coinvolta.
Se si osserva l’insieme delle relazioni internazionali attuali, risulta innegabile che il ruolo di Ankara è enormemente accresciuto negli ultimi venti anni, in ambito regionale e globale In ciò un peso determinante lo ha avuto la capillare applicazione della teoria elaborata da Davutoglu.