di Maurizio Delli Santi * –
Negli scenari di rischio di una nuova escalation o di una guerra di lunga durata, l’Italia potrebbe farsi promotrice di una ripresa dei negoziati, sulla linea del discorso fatto dal presidente della Repubblica all’Assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa. Questi i passaggi centrali: “La guerra è un mostro vorace, mai sazio. La tentazione di moltiplicare i conflitti è sullo sfondo dell’avventura bellicista intrapresa da Mosca. La devastazione apportata alle regole della comunità internazionale potrebbe propagare i suoi effetti se non si riuscisse a fermare subito questa deriva”. Da qui l’esigenza di rafforzare il ruolo delle Nazioni Unite, riproporre “Helsinki, non Jalta”, il “multilateralismo” e una “nuova architettura delle relazioni internazionali, in Europa e nel mondo”. Dopo i prossimi incontri del premier Draghi annunciati con Biden e Zelensky, in molti auspicano che l’Italia, con l’Unione Europea, sia capace di promuovere una road map verso il “cessate-il-fuoco”.
Lo scenario di questi giorni è stato dominato dalle cronache sull’incontro del Segretario Generale delle Nazioni Unite Guterres con Putin, il cui esito era scontato che non fosse risolutivo, e dalle importanti dichiarazioni di Biden al Congresso americano. Queste ultime, unite alla “svolta” dell’incontro Nato di Ramstein e alle posizioni forti espresse dal governo britannico, hanno annunciato una vera e propria scelta verso la “controffensiva” a sostegno dell’Ucraina. L’obiettivo strategico non sarebbe più rivolto a “contenere” gli attacchi russi, ma stavolta si mira a ridimensionare radicalmente ogni capacità offensiva dell’esercito di Mosca, anche alla luce dei gravissimi scenari di Bucha, dell’assedio “senza quartiere” di Mariupol, e delle minacce ora rivolte sul nuovo fronte della Transnistria. Le questioni aperte rimangono dunque sul rischio di ulteriori escalation, come il ricorso ad “armi sinora mai viste” annunciato dallo stesso Putin, o comunque di una guerra di lunga durata, come sembra prospettare la decisione americana di sostenere l’Ucraina con la cifra considerevole di altri 33 miliardi di dollari.
In questo contesto probabilmente a molti osservatori, e certamente al cittadino comune, può essere sfuggito il valore di un evento che invece merita la dovuta attenzione, atteso che, allo stato, esso costituisce la rappresentazione ufficiale di ciò che l’Italia ha maturato sulla “linea politica e strategica” per la guerra in Ucraina: si tratta dell’intervento che il presidente della Repubblica Sergio Mattarella ha tenuto davanti all’Assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa, svoltosi il 27 aprile scorso a Strasburgo.
Sul punto sarà intanto il caso di considerare anche l’opinione di molti secondo cui se l’Italia sinora non ha voluto apparire come “prima attrice”, per esempio con roboanti dichiarazioni che non sono mancate agli altri leader occidentali, è verosimile che abbia voluto assumere una posizione che la ponga sempre nelle condizioni di promuovere la mediazione, come in molti auspicano. Nonostante poi un certo scetticismo sulle nostre capacità di rappresentarsi a livello internazionale, non va dimenticato che l’Italia, almeno a partire dal Next Generation EU esprime una leadership in seno all’ Unione Europea insieme a Francia e Germania, è un Paese del G7, l’organizzazione che riunisce le sette più “grandi” nazioni del mondo, rappresenta uno dei principali soggetti strategici e finanziatori della Nato, e certamente ha saputo promuovere con autorevolezza il tema di un nuovo “multilateralismo inclusivo” al G20 svoltosi nel 2021.
Per comprendere meglio il significato dell’intervento del presidente della Repubblica è necessario fare un ulteriore inciso, sul contesto del Consiglio d’Europa. Si tratta di una organizzazione internazionale che non va confusa con l’Unione Europea. Istituito il 5 maggio 1949, con il Trattato di Londra, conta 46 Stati membri, con 700 milioni di cittadini, mentre l’UE conta 27 Stati, ed è stato una delle prime organizzazioni che, anticipando l’OSCE, includeva i c.d. “Paesi dell’est”, tra cui la stessa Russia. Come è noto, questa ora è stata esclusa per aver condotto la guerra di aggressione contro l’Ucraina. Nel Consiglio d’Europa può dirsi delineata la vera “casa comune europea” dei diritti, perché i suoi principali strumenti “operativi”, cui hanno fatto ricorso anche diversi cittadini dei Paesi dell’ex Patto di Varsavia, sono la Corte europea dei diritti dell’uomo (CEDU) e la Convenzione europea dei diritti dell’uomo firmata a Roma nel 1950.
È quindi il caso di ripercorrere i punti salienti trattati dal presidente della Repubblica Mattarella nel discorso fatto davanti all’Assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa. In primis, parafrasando il mugnaio di Potsdam, ha ricordato che “c’è un giudice a Strasburgo”, proprio facendo riferimento all’attività sviluppata dalla Cedu, per cui “non c’è ragion di Stato che tenga nel caso di violazioni dei diritti della persona”. Ha inoltre sottolineato come il Consiglio d’Europa si ispiri al “multilateralismo”, come il sistema delle Nazioni Unite. Da queste premesse, accompagnate da un breve excursus storico per la laboriosa conquista della pace dopo la seconda guerra mondiale, si arriva dunque ai passaggi centrali del discorso, che si fanno espliciti e incisivi sulla scelta fatta dalla Federazione Russa il 24 febbraio scorso.
Il presidente Mattarella ha indicato: “Di fronte a un’Europa sconvolta dalla guerra nessun equivoco, nessuna incertezza è possibile. La Federazione Russa, con l’atroce invasione dell’Ucraina, ha scelto di collocarsi fuori dalle regole a cui aveva liberamente aderito, contribuendo ad applicarle”. La Russia per Mattarella è dunque “responsabile della violazione di tutte le principali carte definite nell’ambito degli organismi multilaterali”, in una misura così esecrabile che addirittura ha spinto Paesi che, mentre prima non riconoscevano la giurisdizione della Corte Penale Internazionale, “ne invocano ora l’intervento, affinché vengano istruiti processi a carico dei responsabili di crimini, innegabili e orribili, contro l’umanità, quali quelli di cui si è resa colpevole la Federazione Russa in Ucraina”. E ancora più forte è l’affermazione successiva: “La guerra è un mostro vorace, mai sazio. La tentazione di moltiplicare i conflitti è sullo sfondo dell’avventura bellicista intrapresa da Mosca. La devastazione apportata alle regole della comunità internazionale potrebbe propagare i suoi effetti se non si riuscisse a fermare subito questa deriva”.
Per il Presidente della Repubblica italiana, dunque, rimane fermo e sacrosanto il dovere giuridico e morale di sostenere la difesa dell’Ucraina, paese aggredito. Ma è necessario anche che il ruolo della comunità internazionale sia rivolto a riproporre con ogni energia “un sistema internazionale di regole condivise”, perché, afferma il presidente, “la via di uscita appare, senza tema di smentita, soltanto quella della cooperazione e del ricorso alle istituzioni multilaterali”. Da qui dunque il bisogno di dare voce alle Nazioni Unite la cui denuncia è stata chiara nella condanna “ma, purtroppo, inefficace sul terreno”. Ma ciò non può che significare che occorra “rafforzare l’azione dell’Onu, non indebolirla”. Per cui iniziative come quella promossa dal Liechtenstein, e da altri 15 Paesi, per evitare la paralisi del Consiglio di Sicurezza dell’Onu “vanno prese in seria considerazione”.
Infine, si arriva al passaggio del discorso che gli sherpa, sia italiani che europei, dovrebbero valorizzare definendo una road map per le future iniziative negoziali. Per il massimo rappresentante dell’Italia occorre “prospettare una sede internazionale che rinnovi radici alla pace”, che “restituisca dignità a un quadro di sicurezza e di cooperazione” all’ Europa. L’esempio è perciò la Conferenza di Helsinki “che portò, nel 1975, a un atto finale foriero di positivi sviluppi”, da cui si originò l’Organizzazione per la Sicurezza e la Cooperazione in Europa (OSCE). La linea del Presidente è dunque: “Helsinki e non Jalta: dialogo, non prove di forza tra grandi potenze che devono comprendere di essere sempre meno tali”. Occorre perciò parlare concretamente di una “nuova architettura delle relazioni internazionali, in Europa e nel mondo, condivisa, coinvolgente, senza posizioni pregiudizialmente privilegiate”.
Infine, c’è l’ultimo monito: “La sicurezza, la pace – è la grande lezione emersa dal secondo dopoguerra – non può essere affidata a rapporti bilaterali Mosca versus Kiiv. Tanto più se questo avviene tra diseguali, tra Stati grandi e Stati più piccoli”.
È un messaggio chiaro per individuare gli attori della mediazione, fra cui vorremmo che si erigano presto a protagonisti l’Unione Europea, e la stessa Italia. Vedremo se, anche dopo i prossimi incontri del premier Draghi annunciati con Biden e Zelensky, l’Italia saprà essere capace insieme all’Unione Europea, come speriamo, di promuovere una road map verso il “cessate-il-fuoco”.
* Membro dell’International Law Association.