Ucraina. Elezioni e nuovo scisma tra Chiese ortodosse

di Dario Rivolta * –

Non è certo una novità: i politici hanno spesso e volentieri usato le religioni per aumentare o mantenere il proprio consenso e rafforzare il loro potere. Allo stesso modo le gerarchie di tutte le religioni pur di garantirsi spazi e privilegi si sono adeguate al potere politico ogni qualvolta è stato loro possibile.
L’ultima conferma la possiamo vedere in Ucraina, dove il presidente Petro Poroshenko non ha trovato ostacoli nell’ottenere che una parte della Chiesa Ortodossa Ucraina recedesse dal suo secolare legame con il Patriarcato di Mosca.
Occorre sapere che sul territorio ucraino esistono quattro chiese principali di confessione cristiana: una, la “Chiesa Greco-Cattolica”, è legata al papato di Roma, e tre sono cristiano-ortodosse. Quella con il maggior numero di fedeli è la “Chiesa Ortodossa Ucraina – Patriarcato di Mosca”, che è anche la più antica, una seconda è la “Chiesa Ortodossa Autocefala Ucraina” e la terza, nata da uno scisma dal Patriarcato di Mosca perpetrato dall’allora Patriarca di Kiev Filarete, è la “Chiesa Ortodossa Ucraina – Patriarcato di Kiev”. Quest’ultima fu creata nel 1992 dopo la raggiunta indipendenza del Paese e unì a sé anche una parte dell’episcopato della Chiesa Autocefala. Fino al 1993 fu guidata dal Patriarca Mstyslav, poi gli succedette un tale Volodymyr, fino al 1995. Da quell’anno, nonostante la scomunica nel frattempo ricevuta da Mosca, fu rieletto patriarca Filarete Denisenko (oggi ottantanovenne). Alcuni preti di questa nuova Chiesa si impegnarono politicamente spalleggiando le manifestazioni del 2013 che portarono alla caduta del presidente Viktor Janukovich. Aiutati da milizie sedicenti “di autodifesa”, capeggiarono pure manifestazioni contro preti e seguaci della chiesa maggioritaria rimasta legata a Mosca.
In un comunicato del 22 aprile 2018 il Patriarcato Ecumenico di Costantinopoli fece sapere di volere “interessarsi” alla situazione delle Chiese in Ucraina e l’11 ottobre dello stesso anno annunciò la volontà di riconoscere sotto la propria giurisdizione l’indipendenza di una Chiesa ortodossa in Ucraina. Il 5 gennaio scorso, in una cerimonia pubblica svoltasi nella chiesa di San Giorgio a Istanbul e alla presenza del presidente Petro Poroshenko e di alcuni parlamentari dei partiti nazionalisti, il patriarca di Costantinopoli Bartolomeo I ha firmato un decreto ufficiale (detto Tomos) che ha definitivamente legittimato lo scisma con Mosca. Ha quindi reintegrato delle sue funzioni gerarchiche il vecchio Filarete, revocato un decreto del 1686 che affidava i credenti ucraini alla diretta tutela del Patriarcato di Mosca e ha contemporaneamente nominato come primate della nuova Chiesa il metropolita Epifani, di trentanove anni. Bartolomeo I ha note relazioni sia con il Papa di Roma sia con rappresentanti del governo americano e ciò è comprensibile considerata l’aumentata impronta islamista e poco tollerante che Recep Tayyp Erdogan ha impresso alla Turchia. Ciò che resta meno evidente, se mettessimo da parte le ragioni politiche, è il perché abbia deciso, così facendo, di rompere le proprie relazioni con la Chiesa ortodossa russa con la quale, per molti secoli, i rapporti erano stati ottimali.
Che comunque si tratti solamente di una scelta politica (che tra l’altro avviene – non casualmente – qualche settimana prima delle elezioni in Ucraina del 31 marzo) e per nulla religiosa diventa evidente dalle parole pronunciate da Poroshenko già mesi addietro, quando dichiarò che una Chiesa indipendente da Mosca era “necessaria” alla sicurezza dell’Ucraina e che sarebbe stato indispensabile “tagliare tutti i tentacoli del Paese aggressore”. Durante la cerimonia a Istanbul, il presidente ucraino è intervenuto ringraziando Bartolomeo e affermando che “Si tratta di una vittoria del bene contro il male”.
Fa specie che nemmeno la minima ragione di ordine teologico sia stata invocata per giustificare il nuovo scisma e che nessuno abbia preso in considerazione le opinioni dei fedeli. Se si guarda al numero di questi ultimi, che in Ucraina rappresentano il 78% dei credenti, si deve notare che il numero di parrocchie attualmente guidate dalla Chiesa Ortodossa Ucraina obbediente al Patriarcato di Mosca corrisponde a circa 12mila, mentre quelle che ne erano uscite assieme a Filarete ammontavano a non più di 5mila. Da oggi non si può escludere che il rapporto numerico tra le due Chiese possa cambiare, se non altro perché il governo ha preannunciato una legislazione favorevole per i “veri “ortodossi. In gioco, come sempre in casi come questi, ci sono anche la proprietà degli edifici appartenenti a quelle parrocchie e il denaro connessovi. In altre parole chi deciderà di continuare a riconoscere l’autorità del Patriarca di Mosca Kirill in qualche modo potrebbe venire penalizzato.
In un sondaggio del Pew Research Center condotto nel 2015 (e quindi con la guerra civile già in corso) i fedeli tra una tendenza e l’altra si dividevano tra loro anche territorialmente. L’ovest del Paese si dichiarava favorevole a una Chiesa puramente nazionale e il sud e l’est avrebbero invece preferito mantenere l’unità religiosa con Mosca. Nonostante il sondaggio fosse stato condotto escludendo gli abitanti dei territori della Crimea e delle autoproclamate Repubbliche Autonome di Lugansk e di Donetsk, il 55% degli intervistati si pronunciò contro una possibile scissione.
La mossa di cercare di indebolire la Chiesa Ortodossa che fa riferimento al Patriarcato di Mosca potrà probabilmente essere utile a Poroshenko per accentuare le emozioni nazionaliste dell’elettorato. Già il suo governo aveva usato la leva del nazionalismo attraverso la voluta provocazione contro la Russia quando mandò navi da guerra nel mar d’Azov per farsele sequestrare, ma sembra che l’effetto non sia stato giudicato sufficiente. Ottenne, è vero, che l’Europa e gli Usa fossero obbligati a rinnovare le sanzioni contro Mosca, ma i sondaggi continuarono a vederlo perdente. Adesso ha giocata la carta di una Chiesa “propria” e durante la campagna elettorale non mancherà di sventolarla come un successo personale. Occorre vedere se nei fedeli prevarranno la fedeltà religiosa o il pensiero nazionalista.
Intanto, per correre meno rischi possibili, ha fatto approvare un regolamento elettorale che consentirà a tutti gli ucraini che vivono all’estero di votare presso i rispettivi consolati ma con un’eccezione: chi vive o lavora in Russia non avrà diritto al voto. Gli basterà? Stando ai sentimenti diffusi tra gli ucraini, ostili verso di lui e verso il suo governo, un suo possibile successo sembra per ora molto difficile.

* Già deputato, è analista geopolitico ed esperto di relazioni e commercio internazionali.