Ucraina. Zelensky e il clamoroso fallimento della controffensiva

di Giampaolo Sordini –

Dall’inizio dell’invasione russa nel febbraio 2022, e dopo aver liberato dalle forze russe il nord e nord est nord–est del paese, il presidente ucraino Volodymyr Zelensky non ha mai celato che il suo obiettivo strategico fosse quello di riprendere ogni chilometro quadrato di territorio ucraino sotto il controllo militare russo, ovvero gli oblast di Lugansk, Donetsk, Zaporizhia, Kherson e la penisola di Crimea.
Tuttavia la visione politica della guerra impressa dal presidente Zelensky, a scapito di quella strategica del generale Zaluzhny, è stata catastrofica, tanto che la decantata controffensiva ucraina d’estate può essere considerata un fallimento, visto e considerato che la linea del fronte è cambiata relativamente poco.
All’inizio di giugno 2023 l’esercito ucraino, su espressa volontà del presidente Zelensky, ha lanciato una controffensiva contro le forze russe che occupavano il suo territorio con l’obiettivo a lungo termine di sfondare la linea del fronte. Sono stati compiuti sforzi in molte direzioni, principalmente nelle regioni di Donetsk e Zaporizhzhia. Ma l’esercito occupante russo aveva già iniziato a prepararsi per la controffensiva dal novembre 2022 e aveva creato estese strutture difensive su tre linee, protette da estesi campi minati, ostacoli anticarro (fossati, denti di lupo), trincee, postazioni di artiglieria destinate a rallentare la controffensiva ucraina con lo scopo di logorare ed assottigliare le forze ucraine.
L’esercito ucraino, sin dai primi giorni della controffensiva, si è scontrato con le ben consolidate difese russe ed è stato in uno primo momento rallentato, logorato per poi finire impantanato, tanto che al 25 settembre aveva ottenuto guadagni incrementali di soli 370 kmq di territorio, meno della metà di quello che la Russia ha conquistato in tutto il 2023.
Nell’offensiva l’esercito ucraino, oltre ad aver impegnato le forze predisposte per condurla, alla fine si è trovato costretto ad impegnare tutte le riserve strategiche, pari a 25 brigate, concentrandole sul fronte di Zaporozhya e Bakmuth, ma senza conseguire nessuno degli obiettivi strategici. Tanto che il generale Valerii Zaluzhnyi, comandante delle Forze armate ucraine, all’inizio di novembre 2023 dichiarava che la guerra era arrivata a uno stallo, da molti analisti considerato un insuccesso vero e proprio.
Infatti l’esercito ucraino non è riuscito a raggiungere la città di Tokmak, centro logistico e nevralgico delle forze russe, che era descritto come un “obiettivo intermedio” e condizione sine qua non per poi conseguire “l’obiettivo primario”: raggiungere il Mar d’Azov per dividere le forze russe nell’Ucraina meridionale.
La visione politica della guerra impressa dal presidente Zelensky è risultata catastrofica, dissanguando uomini, mezzi e materiali dell’esercito ucraino sul fronte di Zaporozhya e sul fronte di Bakhmut, dove i russi li stavano aspettando al sicuro delle loro linee fortificate, permettendogli di conseguire l’obiettivo di logorare il più possibile l’esercito ucraino, che non aveva la disponibilità delle forze aeree e di artiglieria pari a quelle dell’esercito russo.
Avendo gli ucraini impiegato tutte le riserve strategiche, l’esercito russo è partito all’offensiva nel nord e nord est del Paese riprendendo buona parte dei terreni che gli ucraini erano riusciti a conquistare a scapito di forti perdite.
I russi stanno avanzando grazie al supporto aereo e dell’artiglieria preponderante sul fronte di Kupiansk, Bakmuth, e Klescheevka, tanto da costringere il comando dell’esercito ucraino, a distogliere forze dal settore di Okhiriv, indebolendo il fonte di Zaporozhya. Ora che tutta l’attenzione si è spostata sul conflitto israelo-palestinese, Zelensky continua nella sua opera di distruzione delle forze armate ucraine alla ricerca di un successo mediatico, e sul fronte di Kherson mantiene, anche a costo di perdite elevate, una piccola testa di sbarco nel villaggio di Krynki, dove si sono già stremate due brigate di marines ucraini, la 35ma e la 38ma.
Sul fronte interno, e con l’inverno che è arrivato, il malumore cresce sotto il costante bombardamento russo delle infrastrutture vitali, la popolazione, specie nel nord-est e sud del Paese, è allo strenuo delle forze: mancano elettricità, riscaldamento ed acqua corrente, le moglie e le mamme dei soldati ucraini scendono a Maidan per protestare perché non vedono i loro cari da due anni, o non hanno più notizie di loro.
Anche sul fronte internazionale ci sono i primi scricchiolii: dopo i miliardi dei mesi scorsi, gli statunitensi oggi sono disposti a dare all’Ucraina solo pochi spiccioli, mentre gli europei, che non sono in grado di sostituire il sostegno degli Stati Uniti all’Ucraina, rischiano di rimanere con il cerino acceso in mano.
In Europa, ci sono già i primi distinguo di Ungheria e Bulgaria, che come membri della NATO e dell’UE si sono ufficialmente rifiutati di consegnare armi all’Ucraina; stessa cosa per la Slovacchia, dove la maggioranza della popolazione accoglierebbe con favore una vittoria militare russa sull’Ucraina, per la Polonia, che per riarmarsi non fornirà più aiuti militari all’Ucraina. Il ministro della Difesa tedesco Boris Pistorius ha affermato che il suo Paese sta facendo tutto il possibile per aiutare l’Ucraina a combattere l’aggressione russa, ma ha sottolineato che Kiev non è un alleato di Berlino, mentre il cancelliere austriaco Karl Nehammer si è unito al coro di quelli che vogliono raffreddare l’adesione dell’Ucraina all’Ue.