Una “processo alla Milosevic” per Putin? Possibile solo con un “impossibile” cambio di governo russo

di Lorenzo Pallavicini

L’idea di un tribunale internazionale per gli autori dei crimini di guerra commessi nel conflitto russo ucraino è proposta dal governo ucraino e supportata dalla UE tramite la risoluzione del Parlamento europeo dello scorso 6 ottobre, votata a larga maggioranza, che al punto 23 “chiede l’istituzione di un tribunale internazionale ad hoc per il crimine di aggressione contro l’Ucraina, dinanzi al quale Putin e tutti i funzionari civili e militari russi nonché i loro mandatari responsabili di aver orchestrato, avviato e condotto la guerra in Ucraina sarebbero perseguiti.”
Un modello che potrebbe ricalcare quanto desiderato dai proponenti potrebbe essere il tribunale penale internazionale per l’ex-Jugoslavia, creato nel 1993 con la risoluzione 827 del Consiglio di Sicurezza dell’ONU.
Tale istituzione è un organo giudiziario, con facoltà di processare in presenza solo persone fisiche, il cui compito è perseguire i crimini commessi nei territori della ex Jugoslavia dopo il 1991, come gravi infrazioni alla convenzione di Ginevra del 1949, crimini contro l’umanità, genocidio, violazioni delle consuetudini e delle leggi di guerra.
Per il processo all’Aja fu decisiva la collaborazione da parte del governo della Serbia e del primo ministro Zoran Dindic, seguita ai moti legati alle elezioni presidenziali nel 2000 che videro la sconfitta di Slobodan Milosevic. La estradizione dell’ex leader jugoslavo fu complessa per la società serba, con resistenze tra i settori dell’esercito e della polizia, e divenne possibile anche per la pressione statunitense nel vincolare gli aiuti per la ricostruzione del paese alla cooperazione col tribunale internazionale dell’Aja.
Sebbene sia ineccepibile la volontà di perseguire i crimini commessi durante la guerra in Ucraina, vi sono forti diversità rispetto al caso jugoslavo, in cui non era in gioco una potenza geopolitica come la Federazione Russa.
La condizione primaria per costituire il tribunale internazionale ad hoc sarebbe la fine del governo russo in carica e la sua trasformazione in uno favorevole ad una distensione con l’Occidente in cui avrebbe un peso la consegna dei presunti responsabili dei crimini di guerra, con concessioni da parte europea, ad esempio, sull’attenuazione di alcune sanzioni economiche adottate a seguito dello scoppio del conflitto in Ucraina.
Tale ipotesi prevede una totale sconfitta militare della Federazione Russa sul campo comprendente la perdita della penisola della Crimea e uno sforzo da parte della popolazione civile russa per rovesciare il governo in carica, impensabile in mancanza di un sostegno da parte delle forze armate russe, in buona parte fedeli al Cremlino e poco disposte a voltare le spalle al proprio “comandante in capo” in assenza di una sconfitta senza appello in Ucraina.
Mosca è una delle cinque potenze che siedono come membro permanente nel Consiglio di Sicurezza dell’ONU con diritto di veto e se il tribunale dell’Aja deve essere attivato dalle Nazioni Unite esse non potranno procedere alla sua istituzione se permarrà il veto da parte dei russi, che non riconoscendo la validità della corte è improbabile possano estradare gli indagati per il processo.
Un altro aspetto geostrategico sono le due superpotenze in gioco, Stati Uniti e Cina, che non hanno mai aderito al trattato di Roma del 1998 che definisce il funzionamento della Corte. Tale limite rappresenta un forte ostacolo alla piena riconoscibilità internazionale della giurisdizione della corte e senza un sostegno al tribunale da parte dei due “pesi massimi”, appare complicato realizzare il processo.
Al momento, la possibilità più realistica è continuare la causa promossa dall’Ucraina presso la Corte di Giustizia Internazionale dell’ONU, che ha il compito di dirimere le controversie tra stati membri ma non quello di giudicare le singole persone. Essa ha stabilito a marzo del 2022 l’illegittimità delle azioni belliche intraprese dalla Federazione Russa in Ucraina, con riferimento alla Convenzione per la prevenzione e la repressione del delitto di genocidio del 1948 e della Carta delle Nazioni Unite del 1945, alle quali Mosca aveva aderito.
Tale proposta, tuttavia, non otterrà di “portare alla sbarra” le persone fisiche responsabili dei crimini commessi e se non verrà accompagnata da una risoluzione unitaria tra le due potenze principali, Cina e Stati Uniti, che rafforzi i poteri della Corte e ricalchi il modello della storica mozione 377 A dell’ONU del 1950 per superare la esclusiva competenza del Consiglio di Sicurezza, sarà difficile arrivi a risultati efficaci.