Un’Unione sempre più divisa. Il Regno Unito saluta l’Europa per ritrovare se stesso

di Michele Convertino –

Johnson borisEDIMBURGO – Da oggi il Regno Unito si ritrova un po’ meno unito. Questa però, non è una novità, vi erano tutte le anticipazioni del caso, dal referendum sull’indipendenza scozzese, all’ascesa del partito di Farage (Ukip), alla lotta di potere all’interno dei conservatori. Forse quest’ultimo è stato il vero pretesto.
Non dimentichiamo che il referendum sulla Brexit era nato proprio quando David Cameron aveva capito che doveva rafforzare la propria leadership all’interno del partito, anche se aveva vinto le elezioni per la seconda volta. E’ stato in quel momento che l’idea di un referendum è diventata realtà. Era una promessa fatta ai propri sostenitori e al resto dei tories e, dato che le promesse in Gran Bretagna vanno mantenute, bisognava portarla fino in fondo.

Vane sono state le nuove condizioni che Londra era riuscita a ottenere dopo l’incontro con l’Ue dello scorso febbraio. Inutile il dietrofront dello stesso Cameron che da quel momento, soddisfatto delle negoziazioni, ha iniziato a invitare alla calma, al ripensamento, all’importanza dell’Uk nel contesto generale dell’Unione Europea. Ne ha fatto una questione di meri dati, previsioni, di futuro dell’economia, di posti di lavoro e lì l’acume di Boris Johnson ha fatto la differenza.
Colui che probabilmente diventerà il successore di Cameron ha colto l’occasione. Portavoce dei leavers, ha avuto il coraggio e l’astuzia di rimanere fermo sulle proprie posizioni cavalcando un certo risentimento che da sempre accompagna la filosofia dell’essere british e in particolare inglesi. “Non hanno mai accettato l’idea di tornare grandi all’interno di un Unione con altri Paesi. Coloro che una volta governavano il mondo vogliono farcela con le proprie forze, ancora una volta”, andava affermando.

Sovranità e un certo romanticismo di fondo. La stampa, soprattutto quella meno obbiettiva e legata al fascino di Westminster, ha condotto nell’ultimo anno una vera e propria marcia verso la rottura con il Parlamento europeo. E quando le previsioni sull’economia e sulla politica interna non sono bastate, allora hanno voltato la conversazione sul tema delicato e controverso dell’immigrazione. Il 2015 e la situazione in Medio Oriente sono stati terreno fertile. I cittadini britannici sono stati coinvolti maggiormente su questo punto più che su considerazioni più ampie che dovevano essere fatte.

I dati statistici ci aiutano a capire le divisioni venute a galla dopo il voto. Non è un caso che la Scozia abbia confermato la sua posizione progressista, voltata all’Europa e tornerà infatti presto a riconsiderare la possibilità di una nuova indipendenza. Londra, anche se di pochi punti percentuali, ha preferito rimanere in Europa. E’ nella provincia inglese che si è giocata la fetta importante, il guizzo che ha deciso per il futuro dell’Uk.

Bruxelles aveva avvertito, non ci saranno ulteriori negoziazioni nel caso di un’uscita dall’Unione. Ora si passerà alla pratica. Lo strumento democratico per eccellenza, il voto diretto dei cittadini, è stato usato forse in un momento inopportuno e pregi e difetti potranno essere misurati solo nel lungo periodo. Un voto che riguardava più la politica interna ha finito per incidere al di fuori di essa. Intanto Cameron si dimetterà e nei prossimi due anni inizieranno nuovi accordi fra il Regno Unito e il resto d’Europa. La Gran Bretagna ha sempre avuto un trattamento speciale dall’Ue e probabilmente le differenze in futuro non saranno così marcate come ci si aspetterebbe, di certo ieri è stato un giorno che finirà sui libri di storia.