USA. ‘Torture e prigioni segrete’, le rivelazioni del Wp sulla Cia

Agi

ciaPer anni la Cia occultò parte del proprio programma d’interrogatori a carico degli individui sospettati di terrorismo, letteralmente ingannando non solo l’opinione pubblica ma la stessa amministrazione Usa sul ricorso a tecniche particolarmente efferate, e sull’esistenza di luoghi segreti dove applicarle ai prigionieri, chiamati significativamente in codice ‘black sites’, siti neri: è quanto emerge da un rapporto in 6.300 pagine stilato dalla commissione Servizi Segreti del Senato federale, completato oltre un anno fa ma tuttora secretato, del quale è venuto in possesso il quotidiano ‘The Washington Post’. I metodi estremi erano impiegati addirittura in casi nei quali gli esperti erano certi non vi fosse ormai più nulla di rilevante da estorcere ai detenuti. Uno tra essi, comune soprattutto in un ‘black site’ dell’Afghanistan, consisteva nel costringere i malcapitati a rimanere a lungo immersi in vasconi colmi di acqua ghiacciata: una sevizia in qualche misura analoga al ben più noto ‘waterboarding’, l’annegamento controllato che prevede di riversare acqua nelle vie respiratorie del recluso il quale, non essendo in grado di controllarne il flusso, è indotto a pensare di essere prossimo alla morte.
La differenza essenziale tra le due “tecniche rafforzate d’interrogatorio”, come sono definite nel documento, non è tuttavia operativa bensì legale: la seconda è nota e, soprattutto, entro certi limiti approvata dal Pentagono; della prima invece non esiste traccia in alcuna lista ministeriale ufficiale dei metodi autorizzati.
Una vera e propria crudeltà non sancita da regolamenti e ordini ne’, tanto meno, da leggi o decreti. Stando anzi a diversi funzionari coinvolti nel programma, in servizio o a riposo, che il giornale ha interpellato, la Cia faceva persino di più: per ottenere il permesso di ricorrere a sistemi equivalenti nella sostanza ad autentiche torture, e più tardi difendere l’operato dei suoi agenti, in numerose occasioni sostenne che certe informazioni cruciali non si sarebbero potute raccogliere altrimenti, anche se poi i risultati di fatto non corrispondevano a tali asserzioni. Non solo: in parecchi casi l’importanza di far parlare quel determinato detenuto, il suo ruolo in complotti veri o presunti, la rilevanza degli stessi elementi così conseguiti, che spesso l’interrogato aveva rivelato spontaneamente, erano intenzionalmente esagerati. “La Cia”, ha dichiarato uno dei funzionari interpellati che ha ovviamente preteso l’anonimato, “espose a più riprese il proprio programma, tanto al ministero della Giustizia quanto allo stesso Congresso, come in grado di procurare informazioni uniche e non altrimenti ottenibili, idonee a contribuire all’annientamento di macchinazioni terroristiche e di salvare migliaia di vite umane. Era davvero così?”, si e’ chiesta in tono polemico la fonte riservata. “La risposta è no”. Al contrario, milioni di dati raccolti ascoltando decine di prigionieri, secondo una cronologia che la relazione senatoriale indica nei dettagli, dimostrerebbero come in realta’ le “tecniche rafforzate” nulla ebbero in concreto a che vedere con la soluzione dei casi più delicati: per esempio, non fu per tale via che si riusci’ a localizzare il nascondiglio in Pakistan di Osama bin Laden, e infine a eliminare il fondatore di ‘al-Qaeda’ nel maggio 2011. Nella relazione l’impiego delle tecniche segrete di interrogatorio-tortura é definito foriero di gravi conseguenze legali, fino all’incriminazione.
Di qualcosa alla Casa Bianca a un certo punto ci si deve essere resi conto, tanto è vero che fin dal 2009 il presidente Barack Obama ordinò di far chiudere i ‘black sites’. E non a caso la senatrice Dianne Feinstein, che presiede la commissione Servizi Segreti, ha inoltre accusato la Cia di aver fatto violare da suoi agenti i computer in dotazione al personale ausiliario incaricato della materiale stesura della relazione, probabilmente per carpirne i risultati e magari continuare a nasconderli: una condotta che a parere della stessa Feinstein, esponente democratica ma schierata su posizioni tutt’altro che iper-garantiste (ė tra l’altro una sostenitrice convinta della pena capitale), ha tutte le potenzialità per essere dichiarata illecita.