Wafer per lo status quo di Taiwan

La biografia di Miin Wu, che 35 anni fa fondò a Taiwan la Macronix International, realtà industriale di primaria importanza nel settore dei semiconduttori, sarebbe perfetta non solo per girare un film sui più grandi capitani d’impresa del mondo, ma anche perché grazie a lui questa produzione, significativamente made in Taiwan, contribuisce in modo strategico alla pace.

Miin Wu, 76 anni, è il presidente e anche il CEO della Macronix International, da lui fondata nel 1989. Da allora, questa famosa società conosciuta ai quattro angoli del pianeta, svolge un ruolo fondamentale nell’industria dei semiconduttori di Taiwan.

Wu ci accoglie da solo nello showroom di Macronix. E’ sorridente e si dichiara disponibile a rispondere alle nostre domande. Non è scortato dal suo staff, né da guardie del corpo, e accetta amabilmente di posare con noi per gli immancabili selfie a cui lo sottoponiamo. Eppure è uno dei capitani d’industria più famosi del mondo, un ingegnere visionario, un uomo d’affari illuminato che ha spianato la strada allo sviluppo di un business d’interesse globale e ha messo Taiwan al centro di questa produzione. Macronix produce un fatturato annuo di circa 840 milioni di euro e ha 4mila dipendenti.

Siamo partiti dalla capitale Taipei per raggiungere la vicina città taiwanese di Hsinchu, dove c’è il quartier generale di Macronix, che è presente però con altri uffici di rappresentanza in giro per il mondo, Europa compresa (in particolare in Belgio e in Germania).

Ci troviamo nel contesto dello Hsinchu Science Park, il polo tecnologico di Taiwan. Vi sono ospitate circa seicento aziende che generano una cifra come 57 miliardi di dollari. Qui sorge anche la sede della Tsmc, la multinazionale che produce la maggior parte dei chip più avanzati del mondo. Il suo quartier generale appare come un’impenetrabile serie di capannoni enormi.
Basta guardarsi attorno, infatti, per capire che ci troviamo nella versione taiwanese della Silicon Valley californiana.

Macronix è specializzata nel progettare e produrre i microchip. Per semplificare li potremmo definire banche dati che custodiscono miliardi d’informazioni. Sono progettati, infatti, per svolgere una vasta gamma di funzioni, come l’elaborazione e la memorizzazione dei dati, l’esecuzione di calcoli elettronici, il controllo dei diversi dispositivi e la trasmissione dei segnali.

Noi ne produciamo una certa varietà – ci spiega Wu -, da quelli per piccoli dispositivi elettronici, che vengono utilizzati in apparecchiature mediche, a quelli per computer, automobili, industria spaziale, della difesa, console di gioco e tanto altro ancora. Ma non chiedetemi di mostrarvi i reparti dove li fabbrichiamo, perché questo tipo di produzione è così delicata che non posso permettere ai non addetti, tanto meno a un fotografo, di entrarvi. La contaminazione sulla superficie dei wafer, che diventano parte dei microchip che utilizziamo nei dispositivi elettronici, ne danneggerebbe le prestazioni”.

Se polvere, vibrazioni e sbalzi di temperatura rappresentano enormi sfide per la gestione di una fabbrica come questa, anche il segreto industriale è da proteggere con sistemi di sicurezza assoluta. Per questo motivo noi resteremo nello showroom, dove insieme a Miin Wu faremo un viaggio virtuale nel mondo dei microchip.
Il presidente ci illustra perciò, in un percorso di cartellonistica e campioni di wafer, esposti in bellissime bacheche, il processo di creazione dei chip, dalla fusione dei lingotti di silicio al loro taglio microscopico.

Per wafer, in microelettronica, si intende una sottile lastra di materiale semiconduttore, come ad esempio un cristallo di silicio. Sui chip, realizzati sui wafer, vengono stampati i circuiti integrati mediante riproduzione fotolitografica. 

Miin Wu non è originario di Taiwan, perché è nato nella Cina continentale nel 1948. La sua famiglia, della zona di Nanchino, perse la guerra civile cinese che vide vincere i maoisti contro i nazionalisti capitanati da Chiang Kai Shek e così, un anno prima della fine del conflitto, i suoi genitori si rifugiarono a Taiwan, quando lui aveva solo pochi mesi di vita. “Credo di non avere più familiari in Cina. Direi che sono tutti scomparsi”, mormora Wu pensieroso.

Quand’era studente, a Taiwan, ottenne di andare a specializzarsi in ingegneria elettronica alla Stanford University in California. In seguito, lavorò nella Silicon Valley per varie aziende di semiconduttori, ma a un certo punto, a capo di un drappello di una dozzina di ingegneri taiwanesi che come lui lavoravano negli Stati Uniti, decise di tornare a Taiwan per fondare la sua Macronix International (1989).

E’ dalla fine degli anni ’80, infatti, che i “cervelli” fecero ritorno a Taiwan. I talenti locali che avevano fatto esperienza nella Silicon Valley californiana tornarono nell’isola di Formosa per sviluppare l’industria e creare chip di altissima qualità, ma a basso costo. “Avevamo competenze e capacità per produrre in serie chip avanzati a prezzi competitivi. Questo settore è nato in America, dove però era necessario investire enormi somme di denaro nella ricerca e anche la produzione era molto costosa. Perciò è stato più conveniente delocalizzare a Taiwan”, continua a spiegare Wu.

Mentre si intrattiene con noi giornalisti, dallo showroom Wu può anche monitorare i reparti di fabbricazione attraverso telecamere a circuito chiuso, così come può controllare in tempo reale i dati temporali sulla fornitura di gas e di prodotti chimici necessari al processo di produzione, che si avvale anche di acqua ultra pura, elaborata e filtrata all’interno della fabbrica. L’acqua è usata per pulire i wafer in ogni fase della produzione. Anche il più piccolo granello di impurità, infatti, potrebbe causare errori cruciali nel circuito.

La nostra fabbrica – ci racconta – è stata costruita su degli ammortizzatori per evitare le vibrazioni”. Poi ride e aggiunge: “È il mio incubo tenere d’occhio tutto questo”.

Proseguendo nella conversazione, il presidente ci rivela che la sua innovazione più importante è stato l’uso della statistica nella progettazione e produzione dei semiconduttori. I suoi concorrenti lo hanno imparato da lui ed è grazie a questo approccio statistico che Taiwan è un produttore leader indiscusso in questo settore.

Ancora oggi, è quasi impossibile per la Cina o per altri paesi replicare in tempi rapidi semiconduttori avanzati. Taiwan sta già sviluppando quelli a tre nanometri, ma l’obiettivo futuro sono quelli a sette. “Alla fine i competitors ce la faranno, ma ci vorranno almeno altri dieci o vent’anni”, dichiara Wu.

Computer, telefonini, automobili, robotica, elettrodomestici e tutte le più moderne apparecchiature mediche hanno assoluta necessità di semiconduttori, i quali, per oltre il 70 per cento, sono prodotti a Taiwan. La percentuale sfiora addirittura il 90 per cento per i microchip di ultima generazione. In un contesto geopolitico teso, il settore dei semiconduttori assume il significato di una questione strategica.

Finché riusciremo a produrre tecnologia all’avanguardia a livello mondiale, potremo sopravvivere, continuando così a dare il nostro contributo allo status quo di Taiwan. Per ora siamo così indispensabili che persino la Cina e gli Stati Uniti temono che una guerra contro Taiwan possa distruggere la Macronix”, sottolinea orgogliosamente Miin Wu.

E poi aggiunge: “Noi oggi disponiamo dei migliori ingegneri al mondo che ci permettono di creare nuove generazioni di semiconduttori senza aumentare i costi di produzione e di vendita. E’ una sfida rivoluzionaria. Senza queste competenze e competitività non saremmo mai sopravvissuti”.

I semiconduttori sono un asset strategico così importante che qualcuno potrebbe nutrire il legittimo timore che, in caso d’invasione di Taiwan, questo settore potrebbe venire danneggiato. Tuttavia, un frangente simile rischierebbero di far fare all’economia e alla ricerca un salto indietro di vent’anni. Secondo Wu, le proporzioni di un tale disastro sarebbero maggiori che non nel caso della guerra tra Russia e Ucraina, perché colpirebbero tutti.

Con le fabbriche distrutte e gli ingegneri uccisi o esiliati, commenta il presidente, tutto il know-how raggiunto in questo settore scomparirebbe e le conseguenze sarebbero niente più nuovi telefoni, niente più nuove console per videogiochi, ritardi incolmabili nella costruzione di automobili, niente più progressi tecnologici all’avanguardia o in medicina perché tutti questi strumenti dipendono dai semiconduttori.

La nostra conversazione è giunta al termine e Miin Wu tira le somme: “L’intera società in cui viviamo verrebbe stravolta. Molte nazioni ne sono del tutto consapevoli e nessuno vuole correre tali rischi. Per questo motivo, paesi come gli Stati Uniti, il Giappone e anche alcuni stati dell’Unione Europea vogliono produrre semiconduttori sul proprio territorio, per non dipendere da un’area sensibile che può venire stravolta in qualsiasi momento. Ma questa produzione è troppo particolare e gli altri paesi non sono ancora abbastanza avanzati per questo. Quindi, noi continuiamo a sviluppare semiconduttori con le tecnologie più avanzate. In questo modo ci rendiamo talmente indispensabili che persino la Cina e gli Stati Uniti avranno paura di trascinare Taiwan in un conflitto che avrebbe un impatto diretto su di loro. Dobbiamo capire che i semiconduttori rappresentano la rivoluzione industriale del ventunesimo secolo”.

D.B.