Gb. 33 mila cittadini Ue abbandonano, è “Brexodo”

di Emanuele Maffi –

Vince Cable, leader del partito liberal democratico britannico: l’ha definito “Brexodo”. Il Paese della regina Elisabetta deve fare i conti con il più grande deflusso di persone da dieci anni a questa parte, per la precisione 122 mila cittadini dell’Unione Europea in meno dopo il referendum sulla Brexit del giugno 2016, con un incremento di 33 mila unità rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente. Gli arrivi sono stati “solo” 246 mila, con una perdita di 51 mila persone che hanno deciso di non trasferirsi sotto il Big Ben. È quanto risulta dagli ultimi dati offerti dall’Ufficio nazionale britannico di statistica. La maggioranza lascia la Gran Bretagna per fare ritorno in uno degli otto Stati entrati a far parte della Ue nel 2004: Estonia, Lettonia, Lituania, Polonia, Slovenia, Slovacchia, Repubblica Ceca e Ungheria.
Quali sono le cause di una tale emigrazione? Certamente l’incertezza sul futuro dopo l’uscita della Gran Bretagna dalla Ue.

Come si è arrivati a questo punto?
Il primo ministro Theresa May si era già espressa in questo senso a fine giugno, con un accorato appello ai Comuni affermava che “nessun cittadino della Ue dovrà lasciare il Regno Unito. Vogliamo che voi restiate”. “Il Paese ha votato per lasciare l’Unione, non l’Europa – sottolineò – con cui vogliamo una relazione nuova, profonda e speciale”.
In quella stessa occasione ribadì l’importanza del principio di reciprocità, o settled status, proposta che garantiva agli europei residenti da almeno 5 anni in Gran Bretagna gli stessi diritti dei cittadini britannici in tema di lavoro, pensione, sanità, welfare, istruzione. L’unica eccezione riguarda il diritto di voto alle elezioni politiche, concessa solo dopo aver ottenuto residenza permanente e al momento della richiesta di cittadinanza britannica.
Le reazioni furono a dir poco fredde, se non ostili. Il leader laburista Jeremy Corbyn disse che la proposta poteva essere fatta almeno un anno prima, definendo la manovra come un “utilizzo della gente come merce di scambio”. Il caponegoziatore dell’Ue Michel Barnier in un tweet aveva detto che “L’obiettivo per i diritti degli europei è lo stesso livello di protezione che godono nelle leggi Ue. È necessaria più ambizione, chiarezza e garanzie rispetto alla pozione odierna del Regno Unito”. La Gran Bretagna propone un azzeramento delle competenze della Corte Europea sul territorio britannico. Ma è pronta la Gran Bretagna ad accettarne le conseguenze?
Ma la critica più dura riguardava proprio la scadenza entro la quale sarà possibile per un europeo fare richiesta di residenza permanente. May la poneva in un periodo compreso tra il 29 marzo 2017, giorno in cui si è acceso il motore della Brexit dando vita all’articolo 50 del Trattato di Lisbona, e il 29 marzo 2019, quando si sarà concluso il processo di “divorzio”. Non rendere noto questo fondamentale dettaglio significava quantomeno aggiungere un punto di domanda a quelli già presenti nella testa di chi è in Gran Bretagna da meno di 5 anni.

La risposta di CBI.
I 3 milioni di europei, che si trovano alla corte di sua Maestà (compresi 600 mila italiani) a modo loro stanno oggi rispondendo. L’offerta è stata definita “onesta e generosa” dal primo ministro May, tuttavia la stessa Cbi, la Confindustria britannica, diversi economisti e politologi hanno avvertito che la situazione avrà un impatto negativo sull’economia, in quanto molti settori dell’economia dipendono dai lavoratori Ue. Dio salvi la Regina, e non solo lei.