Ucraina nella Nato per isolare la Russia. Ma c’è l’incognita Trump

di Dario Rivolta * –

Sommersa dalla battaglia di Mosul in Iraq e soprattutto dalla tragedia di Aleppo in Siria, la questione ucraina è quasi scomparsa dai radar dei giornalisti nostrani. Eppure la crisi è ancora lì, con tutta la sua pericolosità e i suoi problemi irrisolti. Lo scorso 29 novembre, a Minsk, si è tenuto un ennesimo incontro del cosiddetto “quartetto”, composto da Ucraina, Russia, Francia e Germania e, una volta ancora, non si è arrivati ad alcuna conclusione. I rispettivi Ministri degli Esteri hanno rilasciato le solite dichiarazioni diplomatiche e annunciato l’impegno a rivedersi per riprendere il dialogo.
Il problema di questi incontri, così come succede sulla Siria, è che vi partecipano soltanto alcuni dei soggetti coinvolti mentre altri, che pur sono parte in causa, non vengono o non sono nemmeno invitati. La scelta del “quartetto” serve a fingere che il conflitto sia una questione prettamente europea, anche se tutti sanno quali siano state le responsabilità Usa nello scoppio dei disordini e quale il vero obiettivo del conflitto. Un paese molto coinvolto, ma assente dagli incontri di Minsk, è pure la Polonia. Quest’ultima, assieme ai Paesi Baltici, funge da capofila di chi ha imposto agli altri europei, reticenti, l’assunzione di sanzioni contro la Russia e le loro successive proroghe. Ufficialmente, non avrebbero voce in capitolo eppure, assieme agli americani di Obama, sono proprio quelli che avevano preparato, sostenuto ed organizzato i manifestanti con aiuti e, forse, anche con qualcos’altro.
A Minsk, nel settembre 2014 e nel febbraio 2015, sembrava essere riusciti ad arrivare ad un possibile accordo. Si prevedevano un “disimpegno” del sostegno russo ai rivoltosi del Donbass preceduto da una riforma della Costituzione ucraina che riconoscesse alle regioni orientali la richiesta autonomia. Fatto quello, si sarebbero tenute nuove elezioni in tutto il Paese e un sistema democratico e pacifico sarebbe stato restaurato.
La realtà è che l’autonomia per quelle regioni del paese costituisce la base di ciò che Mosca chiede per garantirsi la sicurezza di una Ucraina indipendente, neutrale e non, invece, potenziale base di armamenti NATO. Un ingresso dell’Ucraina nella NATO, come già tentato durante la presidenza Bush junior, o anche un suo ingresso nell’UE, sono ritenuti dai russi una inaccettabile minaccia per la loro sicurezza. Infatti, sia il governo americano in carica sia la Polonia e i Baltici, vogliono proprio un’Ucraina totalmente avversa a Mosca e membro della NATO per completare l’”accerchiamento” del potente vicino. Ne consegue, ovviamente, che, fino a quando la Russia si sentirà sotto assedio e qualcuno continuerà a pensare di “ridimensionarla”, sarà impossibile arrivare a una vera soluzione alla crisi in atto.
Incoraggiati da tanto sostegno e nonostante gli impegni assunti, gli ucraini han dimostrato di non avere alcuna intenzione di modificare la loro Costituzione e, conseguentemente, i russi continueranno a mantenere le loro truppe vicine al confine. Della Crimea è inutile parlare: qualunque persona con un minimo di onestà intellettuale sa che la Crimea oramai è, e resterà, russa in ogni caso e nessuno con un po’ di buon senso immagina una guerra internazionale per “restituirla” all’Ucraina. Soprattutto dopo che l’annessione alla Russia era stata votata, senza veri dubbi di brogli, con un referendum popolare a grandissima maggioranza
L’elezione di Donald Trump alla presidenza Usa e le sue dichiarazioni in merito alla necessità di considerare la Russia come un alleato nella lotta contro l’integralismo islamico (e contro la Cina) e non come un nemico cambiano però ogni prospettiva. A gennaio scadono i termini previsti per la durata delle sanzioni e, se Trump non cambierà idea, è molto probabile che non saranno rinnovate. Anche in Europa il fronte dei contrari al loro prolungamento è sempre più forte e alla Grecia, all’Italia, alla Slovacchia, all’Ungheria e alla Francia (seppur più tiepida e contraddittoria) si è aggiunta anche la Bulgaria dopo l’elezione del nuovo presidente. Se, al contrario, gli Stati Uniti chiederanno di rinnovarle approfittando magari del periodo di passaggio delle consegne tra i due Presidenti, è ben difficile che l’Europa possa dissociarsi. Una frattura di questo genere all’interno dell’Unione sarebbe estremamente pericolosa per il futuro dell’Europa perché’ andrebbe ad aggiungersi ad altri fattori di divisione già esistenti.
Ma se Washington decidesse di rinunciare alle sanzioni, per Bruxelles sarebbe masochistico e praticamente impossibile continuarle da sola e nuove possibilità di pacificazione si aprirebbero. Con grande gioia anche delle nostre aziende che potrebbero tentare di tornare a recuperare i mercati perduti proprio a causa delle sanzioni. I tedeschi han già cominciato a muoversi in questa direzione e ditte come la Henkel hanno già programmato nuovi investimenti in territorio russo.
Lo scenario della fine delle sanzioni è ciò che più temono gli attuali governanti di Kiev e tutti i loro supporter Non è un caso che il Segretario del Consiglio Nazionale della Difesa dell’Ucraina, Oleksandr Turchynov, ha auspicato in una recente intervista che la nuova Amministrazione americana possa perfino consentire la fornitura all’esercito ucraino di armi “letali”. Questi tipi di armamenti, secondo le direttive NATO, non possono essere dati a nazioni in guerra e, almeno ufficialmente, fino ad oggi erano state negate a Kiev nonostante numerose e formali richieste arrivate da quel Governo. Richiesto di un commento al fatto che le dichiarazioni di Trump sembrassero andare in senso contrario, Turchynov ha ricordato che le posizioni fino ad ora tenute dal Partito Repubblicano americano erano nettamente contro la Russia e che il Presidente USA dovrà tenerne conto. Ha pure aggiunto che le sanzioni contro Mosca dovranno assolutamente essere prorogate. Come lui si sono pronunciati i Baltici e la Polonia.
Su quello che realmente succederà resta l’incertezza e questa durerà fino a quando Trump sarà insediato. Sembra però assodato che chi vuole la continuazione dello status-quo, o addirittura un inasprimento delle azioni contro la Russia, non starà con le mani in mano. Come si è visto più volte anche nel conflitto che contrappone Israele e i palestinesi, ogni volta che la pace si avvicina e diventa una reale possibilità, succede qualcosa di tragico, un attentato, un incidente o qualunque altra cosa che riporta tutto all’indietro. Non ci si dovrà quindi stupire se, prima della riunione europea per decidere sulle sanzioni e prima che la nuova amministrazione USA entri in attività, ripartiranno gli scontri nell’est dell’Ucraina e si verificherà qualche “incidente” che, senza alcun dubbio, sarà attribuito all’”aggressività” di Mosca.
La propaganda dei cultori della nuova guerra fredda continua da tempo a parlare delle manovre militari russe nei mari del nord, tacendo però di quelle NATO che, nelle stesse zone, le avevano precedute. La stessa cosa la si è vista con la questione dei missili anti aerei russi a Kaliningrad che erano stati preannunciati da Mosca come risposta a quelli NATO in Polonia e Romania. Temiamo però che la pura propaganda non sarà considerata sufficiente dai moderni guerrafondai e che qualcuno vorrà far scorrere nuovo sangue per riuscire a impedire quella pace e normalità desiderate dalla maggioranza degli europei e degli ucraini stessi. Naturalmente, spero di sbagliarmi.

* Già deputato, è analista geopolitico ed esperto di relazioni e commercio internazionali.