Il pericoloso déjà-vu in Libia

di Massimo Pascarella *

Libia isisQuali le conseguenze di lungo termine dell’Isis in Libia? Quali le soluzioni? Può l’accordo tra Tripoli e Tobruk permettere alla Libia di non divenire uno Stato fallito?
A Sirte i miliziani di Abu Bakr al Baghdadi hanno trovato spazio tra l’ideologia di Ansar al-Sharia e gli ex lealisti di Gheddafi,vedendo nella Libia la migliore opportunità per espandere l’autoproclamato Stato Islamico di Siria e Iraq. Una fortificazione della matrice jihadista libica minerebbe l’area nord-africana, potendo convergere e trovare appoggio nel sanguinario gruppo nigeriano Boko Haram, attualmente impegnato a combattere le truppe lealiste di Abuja congiunte ai soldati provenienti dal Ciad, dal Camerun, dal Benin e dal Niger.
Attraverso queste (porose) frontiere, l’Isis potrebbe porre in essere attacchi di matrice internazionalistica e costituire un “secondo fronte” per tali Stati, già impegnati nello smantellare la presenza delle milizie di Shekau ai confini con la Nigeria.
Da notare che tutto ciò potrebbe creare una reazione a catena nella regione, spingendo le frange estremiste islamiche sudanesi e somale a cercare un maggior raccordo con Daesh in Libia, intensificando la lotta tra Seleka ed anti-Balaka nella Repubblica Centrafricana e strutturando il takfirismoin territorio algerino, dove forti basi sono già presenti.
Fatalmente, se in Libia prevarrà l’urgenza di combattere l’Isis quest’ultimo non sarà sconfitto. Passo decisivo è la ricerca del raggiungimento pragmatico di quanto sancito dagli accordi di Skhirat, creare un governo di unità nazionale che possa agglomerare le varie fazioni tribali e che (in seguito) punti a combattere l’Isis.
Il vero problema è il rispetto del cessate il fuoco e le garanzie (inesistenti) previste in caso di violazione dall’accordo. Si prospettano due possibilità: una in salita, con un governo libico politicamente eterogeneo ed in stallo, la cui transizione costituirebbe persistente terreno di possibilità per Daesh, ma avviato verso l’unità ed il restauro; ed una in discesa, con il riprendere degli scontri tra ribelli di Tobruk e forze governative di Tripoli, sviluppando qualcosa di molto vicino alla guerra civile in Colombia tra le FARC e le forze lealiste, ma in proporzioni molto più intense e distruttive per la Libia.
Una ulteriore possibilità può essere intravista nell’intervento armato diretto di una coalizione di Stati con a capo l’Italia, considerati i suoi stretti legami economici con la Libia ed il problema “immigrazione sfrenata” derivante (in parte) dal caos nel paese nord-africano, ed includente gli Stati Uniti, la Gran Bretagna, la Francia (le cui truppe sono già in campo).
Probabilmente, tale operazione si porrebbe in contrasto con il Parlamento di Tripoli, che non ha ancora approvato il governo a causa di dispute intestine, peggiorando ulteriormente la situazione e destabilizzando l’incipit dell’ accordo politico raggiunto in Libia.
Allo stesso tempo, l’avanzata funesta dell’ISIS in territorio libico, attraverso una forza (in aumento) pari a circa 6,500 unità , e minante ad accaparrarsi le principali fonti energetiche del Paese (l’ultimo attacco è avvenuto ai danni dei giacimenti petroliferi di Sidra il 4 gennaio) lascia presagire che il tempo scorre e che il tempo della diplomazia sta per terminare.

* Massimo Pascarella è laureato in “Scienze Politiche e Relazioni Internazionali” e possiede un master in “analisi d’intelligence”. Collabora con la testa giornalistica boliviana “El Deber” e con vari Think Tanks italiani.