Brasile. Le sfide di Lula agli Stati Uniti

di Francesco Giappichini

“Abbiamo urgente bisogno di creare un gruppo di Paesi, che cerchi di sedersi al tavolo sia con l’Ucraina sia con la Russia per trovare la pace”. Con queste parole, pronunciate il 22 aprile nel corso di una visita a Lisbona, il presidente del Brasile, Luiz Inácio Lula da Silva, lanciava un chiaro messaggio agli Stati Uniti, e collocava il suo governo su posições não subalternas e autonome rispetto all’occidente. Tuttavia questa volontà di autodeterminazione dell’amministrazione Lula non si limita al tema della guerra ma punta verso due obiettivi ideali, e al contempo economico-commerciali. Da un lato l’integrazione sudamericana, che dovrebbe passare sia dalla riammissione del Venezuela nell’alveo delle nazioni civili, tanto per usare un’espressione abusata, sia dalla creazione di una moneta comune (e non unica) per il Mercosur (Mercado común del Sur).
Va da sé che Brasilia eserciterebbe un’indiscutibile egemonia regionale sull’area, suggellata da un soft power verde-oro anch’esso predominante. L’altro obiettivo riguarda invece il rafforzamento del Brics (Brasile Russia India Cina Sudafrica) che, secondo Lula, dovrebbe aprire le porte anche a Caracas (che da parte sua ha annunciato la richiesta di adesione). L’idea del capo dello stato, o meglio il suo sogno, sarebbe dotare quest’organizzazione rappresentativa dei maggiori Paesi emergenti, di una moneta unica. Va da sé, in funzione anti dollaro, come reso esplicito dai suoi toni ironici e taglienti, nel corso del recente incontro con l’omologo venezuelano Nicolás Maduro: “Sogno che si possa avere una valuta tra i nostri Paesi, in modo da poter fare affari senza dipendere dal dollaro, perché solo un Paese possiede la macchina per stampare i dollari. Non è possibile, non avere più libertà di negoziare. Sogno che i Brics possano avere una moneta, così come l’Unione Europea ha costruito l’euro. Maduro non ha un dollaro per pagare le sue esportazioni. Forse inizierà a pagare in yuan. Chissà, forse possiamo ricevere valuta di un altro Paese. È colpa sua? No. Colpa degli Usa, che hanno fatto un embargo pesantissimo. L’embargo è peggiore di una guerra, uccide bambini, donne e persone che non hanno nulla a che fare con questa disputa ideologica”.
Insomma l’attuale classe dirigente verde-oro, e in particolare l’entourage presidenziale, non si è limitata a mettere in soffitta la «storytelling bolsonarista». Punta invece, beninteso attraverso una narrazione terzomondista e tutto l’armamentario ideologico della sinistra latinoamericana, a recuperare la cosiddetta “cooperazione sud-sud”: la stella polare che aveva segnato la politica estera brasiliana negli scorsi decenni. E’ in questo scenario che il 30 maggio il presidente-operaio ha organizzato la prima Cúpula de presidentes da América do Sul, preceduta, il 29, dal citato bilaterale con Maduro. Che non metteva piede in Brasile dal ’15, e che dall’agosto del ’19 non vi poteva entrare, per un decreto dell’Esecutivo Bolsonaro.
A giudizio di Lula, le sanzioni contro il Paese caraibico sono un abominio, mentre la ripresa dei rapporti tra Brasília e Caracas deve essere “piena”: non solo commerciale ma politica e persino militare. Invece il citato vertice tra presidenti sudamericani, a parte un generico documento comune (Consenso de Brasília), sarà ricordato per la proposta lulista di creare una “moeda comum na América do Sul”; che dovrà essere l'”unità di riferimento comune per il commercio, riducendo la dipendenza dalle valute extraregionali”.