E se si sciogliesse Israele?

di Roberto Amato

Le attuali circostanze di conflitto tra Israele e Palestina, spingono a qualche riflessione. Israele non è una realtà costituita e confermata da secoli, ma una creazione artificiale voluta e realizzata alla fine della Seconda guerra mondiale, per motivi politici internazionali di varia natura, sulla base di considerazioni frettolose e poco approfondite per i possibili effetti nel tempo.
Decisione allora sostenuta anche da rivendicazioni sioniste basate sul ricordo dell’antico regno ebraico, di biblica memoria, che aveva cessato di esistere nel 70 d.C, con la distruzione del tempio di Gerusalemme da parte dei Romani. Oltre che per la comprensibile emozione e i sensi di colpa generati dalle persecuzioni della Germania nazista a danno degli ebrei.
La comune fede religiosa non è di per sè sola ragione sufficiente (nè necessaria) per la costituzione di stati che raccolgano l’insieme dei relativi credenti.
Se così fosse dovrebbero essere costituite sul pianeta centinaia, se non migliaia, di realtà statuali indipendenti, più o meno estese, ognuna costituita da gruppi di fede religiosa diversa, possibilità difficile da concepire, se non altro per l’evidente difficoltà di realizzare e collocare tali ipotetiche realtà statuali in territori da ricavare nei luoghi più vari, indipendentemente e a scapito dalle nazioni tradizionali ivi già presenti.
Nel caso specifico, lo stato di Israele è stato costituito nel 1947 sul territorio abitato dai palestinesi, approfittando delle incerte condizioni statuali e di ex protettorato britannico della regione, e dell’assenza di adeguate protezioni internazionali per una popolazione inerme e senza voce.
Un’azione di imperio colonialista, messo in atto da potenze esterne, che si è consumata con l’espulsione della popolazione locale dalle loro terre e la conseguente creazione di una massa di esuli, che di quella espulsione non aveva certo alcuna colpa.
Sulla creazione dell’attuale stato di Israele grava quindi, per così dire, il peso di una specie di “peccato originale”, la cui memoria e continue conseguenze non può essere sottovalutata.
L’ipotesi della creazione di due stati indipendenti e separati (Israele e Palestina) non sembra una soluzione atta a garantire stabilità, perchè tali stati nascerebbero già squilibrati all’origine, per risorse economiche e forza militare, e senza che con questo possano essere eliminate le attuali rivendicazioni e sensi di ingiustizia subita da parte dei palestinesi, così come, dall’altra parte, sospetti e ostilità, più o meno latenti, da parte israeliana.
Il “peccato originale” di cui dicevo non sarebbe superato e continuerebbe a produrre gli effetti mefitici che da decenni produce, e gli odii reciproci non verrebbero meno: l’istituzione di due stati ufficiali separati e nominalmente indipendenti non farebbe che stendere un velo di legalità internazionale su una situazione in ogni caso instabile ed esplosiva.
La storia delle ristrutturazioni territoriali affrettate, messe in atto in ogni tempo “a tavolino”, in ogni parte del mondo, dalle potenze di turno, non fanno che confermarlo.
Molto più stabile e ragionevole sarebbe la realizzazione di un solo stato palestinese, in cui, dopo l’inevitabile ristrutturazione iniziale e il ritorno della popolazione espulsa nel 1947 e che volesse ritornare, con alcuni inevitabili reciproci compromessi e parziali rinunce, potrebbero convivere entrambe le etnie, nella consapevolezza da parte ebraica del fatto obbiettivo che loro sono arrivati sul luogo solo da pochi decenni, dopo un’assenza di 2000 anni, e quindi dovrebbero, con dovuto realismo e pragmatica umiltà, accettare di integrarsi in una realtà antropologica radicata e preesistente da secoli.
Non dovendo rinunciare per questo alla loro fede religiosa e alle loro tradizioni, in quanto sarebbero integrati in questa nuova entità sovranazionale multiculturale, a cui potrebbero apportare il contributo attivo delle loro realizzazioni, che con il necessario accordo e reciproco realismo, produrrebbero sicuri vantaggi per tutti, pace, stabilità e rispetto per entrambe le popolazioni.
La forma di tale stato potrebbe essere la più varia, nel rispetto e riconoscimento di entrambe le etnie, e la situazione (interna e regionale) sarebbe in ogni caso molto migliore dell’attuale.
Questo avrebbe dovuto essere compreso fin dall’origine, ma così non è stato, e da allora se ne continuano a registrare le conseguenze, dannose per entrambe le parti e che non risolvono il problema complessivo.
L’alternativa è la sparizione di una delle due parti.
Tenendo conto della vastissima presenza islamica multistatuale nella regione, è difficile poter pensare a una distruzione totale del popolo palestinese e alla fine delle loro rivendicazioni: qualsiasi soluzione di forza da parte israeliana non potrebbe che essere parziale e provvisoria, quindi non realisticamente considerabile come ipotesi ottimale da perseguire.
L’altra alternativa sarebbe la sparizione dello stato di Israele come entità autonoma, vale a dire il ritorno degli ebrei a una situazione analoga alla diaspora precedente, situazione per cui, al di là di qualsiasi considerazione collaterale, è opportuno tener presente che la dispersione delle persone di fede ebraica è durata senza interruzioni per quasi 2000 anni, cioè dalla distruzione del tempio di Gerusalemme nel 70 d.C. (da parte del generale e futuro imperatore romano Tito), al 1947.
Il che non è poco e non facilmente considerabile come una fase storica transitoria e provvisoria.
E d’altra parte tradizioni e culture antropologiche, le più varie, non hanno necessariamente bisogno di specifiche concretizzazioni statuali autonome per continuare ad esistere e avere coscienza di sè.
Quest’ultima alternativa al momento non risulta gradita dagli Stati Uniti, ma nel medio termine non avrebbe conseguenze di insormontabile difficoltà per loro in quanto, nonostante la rilevante determinante influenza ebraica sulla loro politica interna ed estera, non sussistono particolari difficoltà oggettive alla sostituzione dello stato ebraico con una differente opportuna realtà locale a difesa dei loro interessi nella regione, coem potrebbe essere l’Arabia Saudita.
Va considerato che Israele non ha risorse proprie e necessita di continue sovvenzioni da parte statunitense.
Oltre che realizzare risparmi economici, la sua sostituzione avrebbe il vantaggio per gli Stati Uniti di poter beneficiare di un supporto interno all’area culturale e religiosa islamica, ampiamente autonomo, senza i contrasti e le tensioni attualmente generati da un attore alieno artificialmente creato e ad essa estraneo, riottoso, conflittuale e di indisponemte aggressiva e geopoliticamente pericolosa autoreferenzialità, quale è obbiettivamente Israele.