di Enrico Oliari –
Con l’ipocrisia che le caratterizza, le cancellerie occidentali (ma anche quelle dei paesi arabi) non vanno oltre le dichiarazioni di “viva preoccupazione” per quanto sta accadendo nella Striscia di Gaza, e neppure l’ormai imminente attacco israeliano a Rafah, una “carneficina annunciata”, scalfisce il doppiopesismo e il servilismo di premier e capi di Stato. D’altronde non ha senso, a quanto pare, incrinare i rapporti con l’amministrazione Usa, sostenuta dalle potenti lobby sioniste, per tutelare inutili se non ingombranti palestinesi: non si tratta dell’Ucraina, lì non c’è nessuna Nato da allargare, non si fanno soldi ne’ con la guerra, ne’ con la ricostruzione.
Sono tuttavia oltre 28mila i civili palestinesi ammazzati dai proiettili dei cecchini e dalle bombe di Israele, quasi il triplo di quelli ucraini in due anni di guerra. Un “genocidio”, come lo hanno definito 800 diplomatici di tutto il mondo in una lettera aperta.
Benjamin Netanyahu sembra tuttavia determinato a colpire “i 4 battaglioni di Hamas” a Rafah, dove sono stati spinti in condizioni miserrime oltre un milione di profughi, poiché per il premier israeliano è imperativo concludere il conflitto entro l’inizio del Ramadan, cioè entro un mese, visto il crescendo delle pressioni internazionali.
Rafah, al confine con l’Egitto, è sottoposta ad attacchi israeliani ormai da settimane, ed anche nelle ultime ore è stata riferita l’uccisione di numerosi civili tra cui una ventina di bambini, il più piccolo di soli due mesi. Trovato anche il cadavere di Hind Rajab, la bimba di 6 anni che aveva chiamato al telefono la Mezzaluna Rossa dopo la morte in un bombardamento della sua famiglia. Uccisi dagli israeliani anche due medici che erano accorsi per cercarla.
Mentre a Gaza in quasi 30mila vengono uccisi in nome del “diritto di Israele a difendersi”, come lo ha chiamato il presidente francese Emmanuel Macron, e mentre a Tel Aviv i ministri di estrema destra del governo Netanyahu ragionano su come colonizzare la Striscia una volta buttati fuori i palestinesi, la politica internazionale dà il peggiore spettacolo di sé. Per il presidente iraniano Ebrahim Raisi Israele va espulso dall’Onu per i “crimini” commessi a Gaza, mentre il ministro degli Esteri egiziano Sameh Shoukry ha avvertito che i profughi non entreranno in Egitto “per non ledere le relazioni con Israele”.
Il ministro degli Esteri tedesco Annalena Baerbock, che nei prossimi giorni sarà a Tel Aviv, si è limitata a scrivere su X che “Israele ha diritto di difendersi dal terrore di Hamas”, ma anche che attaccare Rafah comporterebbe “una catastrofe umanitaria”. Il ministero degli Esteri saudita ha chiesto l’ennesima (e inutile) riunione urgente del Consiglio di sicurezza per scongiurare le “ripercussioni estremamente pericolose” dell’attacco a Rafah.
“Profondamente preoccupato” è anche il ministro degli Esteri britannico David Cameron, dal momento che a Rafah vi è rifugiata “oltre la metà della popolazione di Gaza”, mentre per il ministro israeliano della Difesa Yoav Gallant “le operazioni a Gaza ci porteranno più vicini ad un accordo realistico per il ritorno degli ostaggi”. Altri due di loro sono rimasti uccisi ieri sotto le bombe dell’esercito del loro paese, ma l’esponente di Hamas Mohammed Nizal ha fatto sapere che l’intervento militare a Rafah farà “saltare i colloqui per lo scambio degli ostaggi”.