di Guido Keller –
Ancora manifestazioni e scontri ad Hong Kong, una situazione che si ripete da diverse settimane innescatasi con il disegno di legge locale, poi ritirato, volto ad estradare nella Cina contentante le persone sottoposte a processo. In ballo tuttavia c’è ben altro, cioè l’evidente erosione in atto dell’autonomia di Hong Kong e di quel “un paese, due sistemi” promesso nel 1997, anno del passaggio del territorio dalla Gran Bretagna alla Cina. Già nel 2017 il Comitato permanente del Congresso del Popolo nazionale (Npc) aveva introdotto un sistema elettorale che prevede per l’elezione del capo del governo locale la scelta fra due o tre candidati ricavati da una rosa di nomi approvati da Pechino, ovvero “patriottici”, cosa che aveva scaturito la “protesta degli ombrelli” del 2014.
Le scene di oggi ma che vanno ripetendosi da tempo sono quelle di corpose manifestazioni (a metà giugno erano cose in strada due milioni di persone, un milione e mezzo il 19 agosto), occupazione dei centri nevralgici della città come stazioni, aeroporto e tentativo di sfondamento verso i palazzi del potere, scontri con la polizia, bombe molotov e lancio di oggetti da una parte, proiettili di gomma, manganelli e cannoni ad acqua dall’altra, numerosi fermi ed arresti.
Proprio oggi il 22enne Joshua Wong, leader della Protesta degli ombrelli (oggetto usato per riparasi dal lancio dei gas lacrimogeni), ha annunciato l’intenzione di scendere in politica e candidarsi nelle elezioni distrettuali contro la governatrice “patriottica” Carrie Lam, ma sarà da vedere se il suo nome non farà la fine di altri ed essere cassato dalla commissione elettorale.
Divenuta colonia britannica dopo la Prima Guerra dell’Oppio (1839-1842), Hong Kong si espanse nel 1898 fino a comprendere il perimetro della penisola di Kowloon. In base ai trattati sarebbe rimasta britannica per 99 anni, com’è stato.
Amministrata come provincia speciale, è sede di uno dei principali centri finanziari internazionali. Conta 7 mln e mezzo di abitanti.
