Il vertice sul clima di Biden: tanta retorica, poca sostanza

di C. Alessandro Mauceri

Poche idee ben confuse. É questo il quadro che emerge ascoltando i discorsi dei leader dei paesi più potenti al vertice sul clima promosso da Joe Biden.
Un mese fa in molti pensarono di essere di nuovo sull’orlo di una nuova Guerra Fredda quando Biden, poco dopo aver terminato il proprio trasloco alla Casa Bianca, rispose alla domanda “Putin è un assassino?” dicendo “Mmmm, certo”. Parole che hanno lasciato senza parole mezzo mondo. E hanno scatenato l’ira dell’altro mezzo: prima fra tutti la Russia, che ha richiamato in patria l’ambasciatore a Washington “per rianalizzare i rapporti con gli Stati Uniti”.
A un mese esatto da quella dichiarazione, i due leader si sono incontrati in videoconferenza in occasione del meeting voluto da Biden in occasione della Giornata Mondiale della Terra. Qui sorprendentemente i toni sono stati completamente diversi. Anzi quasi amichevoli. Da un lato Putin ha chiesto la cooperazione internazionale per affrontare il cambiamento climatico sollecitando “un’ampia ed efficace cooperazione internazionale nel calcolo e nel monitoraggio dei volumi di tutti i tipi di emissioni nocive nell’atmosfera”.
Putin ha ribadito più volte che “La Russia è sinceramente interessata a galvanizzare la cooperazione internazionale in modo da cercare ulteriori soluzioni efficaci al cambiamento climatico e a tutte le altre sfide vitali”. Anche mediante una serie di progetti congiunti e sostenendo le aziende straniere che vogliono investire in tecnologie pulite, comprese quelle in Russia. Il leader russo afferma di aver incaricato il governo di “ridurre significativamente il volume accumulato di emissioni nette” entro il 2050 in Russia.
Dal canto suo il presidente Usa Joe Biden si è detto rincuorato dalla richiesta di Putin di sforzi collaborativi per la rimozione dell’anidride carbonica dall’atmosfera del pianeta, al fine di combattere il cambiamento climatico, e di non vedere l’ora di lavorare con la Russia. “Per combattere i cambiamenti climatici, tenendo il riscaldamento globale entro la soglia di 1,5 gradi, non ci resta molto tempo, ma dobbiamo farlo, non abbiamo scelta. E dobbiamo farlo insieme”, ha detto il presidente americano aprendo i lavori del summit sul clima. Biden ha sottolineato che sono già stati compiuti grandi progressi, ma che sono necessari maggiori sforzi da parte dei governi e del settore privato per garantire una transizione senza intoppi verso un futuro di energia pulita. “Quando investiamo nella resilienza climatica e nelle infrastrutture, creiamo opportunità per tutti”, sono state le sue parole.
Per molti è stato un tentativo di Biden di far credere al mondo che gli Usa sono di nuovo il centro intorno al quale ruota tutto il pianeta. Un tentativo un po’ maldestro e riuscito male. Anche la decisione di tenere una sorta di Conferenza delle Parti ad aprile, scavalcando il ruolo istituzionale della COP26 prevista a novembre a Glasgow, è apparso come una forzatura inutile. Per non parlare del fatto che molti hanno notato che ad essere stati invitati erano solo 44 paesi. Una partecipazione che non è bastata a rendere questo incontro virtuale “globale”. Poco credibili anche le promesse fatte: Biden ha detto che gli Usa ridurranno “del 50 – 52% le emissioni di gas serra entro la prossima decade”, cioè entro il 2030 (rispetto ai livelli del 2005). Un calcolo che secondo alcuni sarebbe privo di basi scientifiche: personale del suo staff ha dichiarato che si è arrivati al numero finale in una riunione alla Casa Bianca solo mercoledì mattina. A questo si aggiunge che ancora oggi l’amministrazione Biden non ha reso noto alcun piano su come gli Stati Uniti d’America dovrebbero ottenere questi risultati.
Più realistica la visione del suo esperto per i cambiamenti climatici John Kerry, il quale ha fatto presente che “Quasi il 90% di tutte le emissioni globali del pianeta proviene da paesi al di fuori dei confini degli Stati Uniti”. “Potremmo andare a zero domani e il problema non sarebbe risolto”.
Obiettivo difficile da raggiungere specie considerando che uno dei maggiori responsabili delle emissioni di CO2, la Cina, ha dichiarato che le proprie emissioni continueranno ad aumentare almeno fino al 2030 e che il paese non sarà carbon-neutral prima del 2060. Anche in questo caso si tratta di previsioni alquanto rosse: solo lo scorso anno nel mondo più della metà dell’energia prodotta utilizzando carbone (il combustibile fossile più sporco) è stata prodotta in Cina. Qui si continua ad aprire nuove centrali che utilizzano questa fonte energetica: nel 2020 i tre quarti delle nuove centrali a carbone del mondo sono state aperte in Cina.
Per questo anche le dichiarazioni di Xi Jinping al vertice di Biden sono apparse più retorica che impegno reale: “Proteggere l’ambiente significa proteggere la produttività e migliorare l’ambiente significa aumentare la produttività”. Ancora una volta ad essere più realistico (e credibile) è stato un membro del suo staff: dopo un incontro con Kerry, il vice ministro degli Esteri cinese Le Yucheng ha dichiarato che “per un grande paese con 1,4 miliardi di persone, questi obiettivi non sono facilmente raggiungibili”.
Alla fine il tentativo di Biden è apparso più come l’ennesima iniziativa mediatica senza fondamento che come un reale impegno. Parole che non risolveranno i problemi della Terra. Come hanno dimostrato gli oltre 700 ricercatori che hanno partecipato alla realizzazione dello studio sugli Oceani (due volumi, ciascuno di oltre 4500 pagine!!). Un lavoro straordinario dal quale emerge che la situazione già grave rilevata nel rapporto precedente sta peggiorando. E mentre Biden cercava di riportare l’immagine degli Usa in primo piano, il segretario generale delle Nazioni Unite Antonio Guterres ha preferito partecipare alla presentazione di quei volumi sullo stato degli Oceani.