Kurdistan Irq. A 5 anni dal massacro di Sinjar

di Shorsh Surme –

A distanza di 5 anni la città curdo – yazida di Sinjar (Shingal) piange i suoi martiri per mano di terroristi dell’Isis.
In questi giorni il popolo curdo sta celebrando il quinto anniversario del massacro subito della popolazione curdo – yazida nel Kurdistan dell’Iraq: i morti furono più 3mila yazidi e in 7mila vennero rapiti. La maggior parte erano donne che successivamente violentate e ridotte in schiavitù, molte di queste ragazze sono state vendute.
L’agenzia dell’Onu per l’Iraq (UNAMI) ha confermato che nell’agosto del 2014 quasi 10mila persone, cioè il 2,5% della popolazione yazida o anche una persona ogni quaranta, venne uccisa o rapita. Gli yazidi assassinati sarebbero stati 3.100, ma con un margine di incertezza che potrebbe portare questa cifra fino a 4.400, cioè uno su cento del totale della popolazione.
Il capo della missione di assistenza delle Nazioni Unite per l’Iraq, Jeanine Hennis-Plasschaert, ha chiesto un’azione rapida sia da parte del governo iracheno sia del governo regionale del Kurdistan (KRG) per ripristinare la stabilità nella città di Sinjar (Shingal), distrutta dalla guerra.
Il compito del Parlamento federale iracheno è ora quello di approvare subito i risarcimenti per i sopravvissuti, ma soprattutto la ricostruzione dei villaggi distrutti in modo che le persone possano tornare a casa e riprendere la loro vita.
Gli yazidi sono curdi e vivono soprattutto nella zona attorno alla città di Sinjar, nel nord dell’Iraq, non lontano dal confine con la Siria. La conferma viene anche da Treccani , secondo cui si tratta di “un gruppo di popolazioni ordinate a tribù, di origine e di lingua curda e con religione propria”. Invece l’Enciclopedia Britannica li definisce una minoranza religiosa curda e ne estende la presenza oltre al nord dell’Iraq, della Siria, al sud est della Turchia, al Caucaso e all’Iran.
Un’ulteriore testimonianza di questo genocidio è la ragazza Nadia Murad, 26enne, nata proprio a Shingal. Anche Nadia fu rapita nel 2014 e tenuta in ostaggio da parte del Califfato. E’ stata nominata prima ambasciatrice Onu nel settembre 2016 per la dignità dei sopravvissuti alla tratta di esseri umani e nel 2018 ha ricevuto il Premio Nobel per la pace. Questo premio è stata una risposta diretta ai terroristi.