L’11 settembre e le implicazioni

di C.Alessandro Mauceri

A quasi vent’anni dal tragico attacco alle Torri Gemelle dell’11 Settembre 2001, cui seguirono altri attentati, il mondo sembra aver dimenticato cosa significò quell’evento.
Dopo due decenni sono ancora molti i lati oscuri di quanto accadde quel giorno. A cominciare dai mandanti. Esecutori materiali furono alcuni estremisti islamici, i quali, pur residenti negli USA dove avevano frequentato i corsi per pilotare jet che permisero loro di compiere gli attentati, ma non destarono alcun sospetto in chi avrebbe dovuto sorvegliare.
Il bilancio degli attentati in termini di vite umane fu tremendo: i morti furono quasi tremila, i feriti più di seimila. Quell’attacco fu la dimostrazione che era possibile colpire gli Stati Uniti d’America sul proprio territorio. Qualcosa di molto simile ad un altro attacco, quello avvenuto a Pearl Harbor nel 1941, l’evento che giustificò l’intervento diretto degli USA nella Seconda Guerra Mondiale. Anche le conseguenze dell’attentato alle Torri Gemelle del Settembre 2001 è stato di importanza storica. E gravi le conseguenze politiche, sociali economiche e geopolitiche in tutto il mondo.
Dal punto di vista economico i danni furono enormi: il New York Stock Exchange venne evacuato e gli scambi bloccati, perse più del 7%. In una settimana, le perdite del Dow Jones furono di quasi 14 punti percentuali, quelle dell’S&P 500 di 11,6 punti. Aumentarono i prezzi della benzina e le tariffe assicurative e di spedizione crebbero esponenzialmente.
Alla fine la Commissione al Senato incaricata di valutare i danni parlò di cifre intorno ai 400 miliardi di dollari.
Tuttavia, per contro, ci fu anche chi beneficiò di questa situazione: dall’attacco alle Torri Gemelle le spese militari sono cresciute anno dopo anno, scatenando un effetto a catena il cui ammontare, secondo il rapporto scritto da due economisti di fama, Linda Bilmes e il Premio Nobel Joseph Stiglitz, è almeno di 4mila miliardi di dollari! Ancora oggi, come conferma il SIPRI, le spese per armi e armamenti continuano ad crescere e molti paesi sembrano aver lanciato una nuova corsa all’oro, si pensi paesi arabi, che hanno risposto alla crisi dovuta al calo del prezzo del petrolio cercando rivolgendo lo sguardo alla guerra e al commercio internazionale di armi. Una corsa all’oro resa possibile proprio dall’attentato di quel tragico 11 Settembre.
Come era accaduto dopo Pearl Harbour, anche nel 2001 il presidente degli Stati Uniti fu “costretto” ad un cambio di rotta radicale della politica interna e internazionale. Nel 2001 George W. Bush, da poco eletto, abbandonò la politica di isolazionismo e adottò quella che venne chiamata la nuova “Dottrina Bush” basata sul concetto di “guerra preventiva” per sventare potenziali minacce future simili a quelle dell’11 Settembre. Nell’ottobre dello stesso anno, meno di un mese dopo l’attacco alle Torri Gemelle, iniziò l’invasione dell’Afghanistan, ma come sia stato possibile per gli USA organizzare tutto in meno di tre settimane è ancora un mistero. Bush lanciò una serie di guerre mai dichiarate verso quelli che definì “stati canaglia”, supportato da campagne mediatiche senza precedenti contro l’ “Asse del Male”. In poco tempo emersero crisi internazionali concentrate in “macro-aree”, spesso poco gestibili, come dimostra il fatto che, in molte di queste aree, la guerra è ancora in atto, crisi diverse tra loro ma accomunate dal fatto di essere tutte collegate, direttamente o indirettamente, all’attentato dell’11 Settembre.
In pochi mesi, anzi in poche settimane, il mondo intero (gli alleati storici degli USA non si lasciarono sfuggire l’occasione) fece un passo indietro di dimensioni epocali. Il periodo di calma e prosperità della fine del Novecento, dopo le guerre mondiali, la Guerra Fredda e la lotta tra i due modelli economici, comunismo e capitalismo, venne cancellato e molti diritti civili vennero annullati. Il 26 ottobre 2001 venne introdotto il Patriot Act, ancora una volta, un lasso di tempo forse troppo breve per scrivere, discutere e approvare un trattato così importante, che giustificandosi dietro la necessità di maggiore sorveglianza sul territorio, permise ad alcune aziende di violare i diritti dei cittadini americani e non solo. Solo recentemente la Corte d’Appello degli USA ha dimostrato che tali strumenti non servivano a proteggere gli USA dai terroristi ma, come aveva denunciato Snowden, ad altri scopi.
Migliaia di studiosi e ricercatori hanno analizzato gli attentati e come sia stato possibile che i servizi segreti americani e di altri paesi non avessero previsto niente, la CIA scaricò tutto sulle spalle di George Tenet, ex direttore dello spionaggio. Qualche anno fa un giornale giudicò la loro inefficienza definendoli un “sonnacchioso ufficio di uno scalcinato municipio di periferia”, ma c’è chi dice che all’origine di tutto potrebbe essere l’accesa rivalità tra la CIA e la National security agency (Nsa), l’ultra-segreta branca dei servizi incaricata del controspionaggio elettronico. Proprio quella che, dopo gli attentati, ebbe carta bianca per intercettare tutto e tutti o quasi.
Ma non basta. Poco dopo il Patriot Act, il 13 nvembre 2001 (ancora un lasso di tempo risicatissimo), venne approvato il Military Order, che introdusse la figura dei “combattenti nemici” (enemy combatants), soggetti catturati nelle operazioni antiterrorismo, sia sul suolo americano che all’estero. Ancora una volta un modo per giustificare il trattamento disumano nei confronti di uomini e donne presentati come “nemici” e per questo divenuti vittime, spesso innocenti, di trattamenti inenarrabili in centri di detenzione dove nessuno è potuto entrare. Storici i tentativi del regista Moore di entrare a Guantanamo. Anche gli sforzi del presidente Obama, che durante la campagna elettorale aveva promesso di porre fine a questo modo di fare, non ebbero successo: ancora sono molti i centri di detenzione gestiti dagli USA in diversi paesi del mondo. Siti dove i diritti umani e gli accordi internazionali vengono violati con la scusa di contrastare il terrorismo dell’11 Settembre.
Le “guerre di pace” e di “democrazia” iniziate dopo l’11 Settembre hanno avuto come conseguenza un aumento esponenziale del numero di rifugiati, profughi e migranti. Migrazioni forzate i cui effetti sulle generazioni future sono ancora difficili da calcolare, ma che hanno invertito la rotta in molti processi di sviluppo in atto, dall’istruzione all’eliminazione della fame nel mondo, ai diritti umani, come hanno più volte denunciato Unicef e UNHCR.
Nonostante tutto questo, ancora oggi, nessuno sa chi furono i veri mandanti, gli ideatori, del massacro delle Torri Gemelle. Chi decise di uccidere migliaia di persone, e molte altre dopo, e perché.
Nel 2013 un libro intitolato “Finta Democrazia” parlò di “studiosi” che “hanno compiuto sforzi immani per convincere la gente che l’evoluzione delle città, delle regioni, degli stati e del mondo intero si basa su tesi socioeconomiche sempre più astratte e irreali”. Ma “quanto è avvenuto negli ultimi millenni dimostra che a beneficiare delle leggi introdotte sono state poche persone. Le stesse che spesso non hanno esitato a ricorrere a strumenti estremi per ottenere ciò che volevano”.
Per comprendere i veri mandanti dell’attentato alle Torri Gemelle e dare pace alle migliaia di morti, basterebbe guardare chi ha realmente tratto benefici, prima di tutto economici, da questi attentati e da quello che è seguito. Sarebbe il modo migliore per celebrare l’11 Settembre.