La missione KFOR della NATO e il supporto militare italiano

di Andrea Grelloni * –

Dalla fine degli anni Novanta in Kosovo è attiva una missione multinazionale sotto egida della NATO, denominata Kosovo Force (KFOR), i cui obiettivi prioritari sono il mantenimento della sicurezza e della stabilità della piccola quanto complessa realtà del Paese balcanico che nel 2008 si è ufficialmente reso indipendente dalla Serbia, anche se Belgrado non ne riconosce il suo status internazionale e ne rivendica la propria appartenenza territoriale.
Dopo un’intensa campagna aerea da parte delle forze dell’Alleanza Atlantica contro obiettivi strategici e infrastrutturali serbi (Operazione Allied Force), cui ha fatto seguito il ritiro dell’esercito serbo dal Kosovo predisposto con l’accordo di Kumanovo, le prime truppe di terra della NATO entrarono in territorio kosovaro nelle prime ore del 12 giugno 1999, agendo su mandato legale della risoluzione 1.244 delle Nazioni Unite, con lo scopo di mettere definitivamente fine al conflitto interno tra le forze militari e paramilitari serbe contro l’esercito di liberazione del Kosovo (UCK – Ushtria Çlirimtare e Kosovës) e salvaguardare l’incolumità della popolazione civile dopo una sanguinosa guerra interetnica.
Siamo nel 2020 e ancora dopo più di vent’anni l’esercito della NATO presidia quest’area geografica estesa circa 10mila kq, anche se dal giorno in cui è iniziata l’operazione ad oggi la forza complessiva del contingente atlantico dalle 50mila unità del 1999 si è ridotta alle 3.500 attuali, con compiti prettamente militari ma anche di cooperazione con le istituzioni locali e nazionali per migliorare il livello di vita e di sicurezza del Kosovo.
Il contributo italiano alla missione è decisamente importante in termini numerici, dato che è il secondo esercito dopo quello degli Stati Uniti ad impiegare il maggior numero di soldati, oltre 600 uomini e donne altamente addestrati per questo tipo di operazioni fuori area, supportati da circa 200 veicoli terrestri e da un assetto aereo per la ricognizione.
Inoltre, a partire dal 2013 l’Italia detiene il comando supremo del KFOR presso la capitale Pristina, attualmente nelle mani del generale di divisione Michele Risi, che rappresenta un impegnativo ruolo di responsabilità nella conduzione delle linee strategiche ma che è merito acquisito della fiducia guadagnata dai nostri militari nelle missioni internazionali di pace.
Il dispiegamento tattico delle forze italiane consta di un distaccamento reggimentale dislocato nel Regional Command West (RCW – Comando Regionale Ovest) nei pressi della città di Peć/Peja, dove altresì sono presenti 12 Liaison Monitoring Team (LMT – Team di Collegamento e Monitoraggio) che si occupano di mantenere buone relazioni con le componenti politiche e civili locali per avere un quadro informativo aggiornato sulla situazione ambientale.
In quest’area si trova il monastero cristiano ortodosso di Visoki-Dečani, rimasto l’unico luogo di culto ancora presidiato dai militari della NATO.
Unità d’élite dell’esercito italiano sono integrate nel battaglione multinazionale di ricerca informativa (Intelligence, Surveillance and Reconnaissance Multinational Battalion – ISR MNBN), istituito nel 2016 e che si occupa di raccogliere informazioni utili a prevenire possibili minacce alla sicurezza.
In Kosovo è presente anche un reggimento dell’Arma dei Carabinieri, inquadrato nel Multinational Specialized Unit (MSU – Unità Multinazionale Specializzata), un’unità specialistica cui sono assegnati compiti di polizia militare e di mantenimento dell’ordine pubblico, operante soprattutto nella parte settentrionale del territorio kosovaro, con una maggiore presenza nella città di Mitrovica.
A distanza di molti anni dal tragico conflitto che ha insanguinato il Paese, lasciando profonde ferite difficilmente rimarginabili, la situazione interna, almeno dal punto di vista della tenuta socio-politica, appare positiva, anche se c è molto lavoro da fare per migliorare i rapporti tra le due comunità etniche, e l’errore potrebbe essere quello di abbassare la guardia e dare adito a nuovi pericolosi rigurgiti etnici.
Proprio per evitare potenziali ricadute il ruolo della NATO è di fondamentale importanza nel lungo processo di ricostruzione avviato in quel lontano 1999, e anche se una convivenza pacifica e civile è ancora di là da venire, in mancanza di valide alternative, questo è l’unico modo per aspirare alla rinascita del Kosovo e non abbandonarlo al suo destino.

* Analista militare specializzato nel settore della Difesa ed esperto nelle questioni attinenti la politica NATO e la cooperazione internazionale.