Le carenze della politica estera dell’Ue in ambito geocentrico e geoeconomico

di Massimo Ortolani

Non è necessario sottolineare come l’intreccio di politiche energetiche ed economiche in aree limitrofe ai confini della Ue, e quindi di elezione per la politica estera della Unione, sia da tempo oggetto di acceso dibattito e di controversie.
Consideriamo le ragioni geopolitiche dell’interruzione del secondo canale di rifornimento gasiero dall’Algeria alla Spagna via Marocco. Algeri sostiene che il Marocco non ha mai smesso di compiere atti ostili nei confronti dell’Algeria, a partire dalla ben nota disputa di confine. Nel 2020, probabilmente in cerca di una maggiore legittimità internazionale, il re del Marocco Mohammed VI aveva aderito agli Accordi di Abramo che consentivano l’avvio della normalizzazione dei rapporti con Israele.
Una decisione che aveva garantito al Marocco ilriconoscimento, da parte dell’amministrazione Trump, della sovranità marocchina sul Sahara Occidentale. Ma anche un miglioramento dei rapporti politici con Israele, ingraziato dalla corposa comunità ebraica residente in Marocco e soprattutto dalla presenza in entrambi gli stati di un sentimento anti-iraniano. Sentimento che invece sembra essere del tutto assente in Algeria. Inoltre tale avvicinamento politico ad Israele aveva consentito alla intelligence marocchina di mettere sotto controllo nel 2019 il telefono di Emanuel Macron, avvalendosi dello spyware Pegasus di realizzazione israeliana. Al contrario Joe Biden ha inserito nella Black List federale la società israeliana produttrice di tale spyware, proibendo di ricevere componenti di tecnologia americana.
Non sarà di certo tale interruzione a creare problemi energetici insormontabili a Madrid, e tanto meno all’Unione Europea. Ma questo non è che un ulteriore tassello che si inserisce nel puzzle della politica energetica europea. Se si esclude la Libia, il quasi fallimento della Ue nel definire un quadro stabile e duraturo del mercato dell’approvvigionamento del gas, e di quello russo in particolare, è sotto gli occhi di tutti, nonostante le proposte di farne l’acquirente unico per i paesi membri, e gli intenti contenuti nel documento “Una strategia quadro per un’Unione dell’energia resiliente…”, risalente all’ormai lontano 2015. E che conferma ancora una volta come oggi non basti più realizzare gasdotti se a monte della fornitura non si pongono le basi per allontanare sul piano geopolitico il rischio di un loro utilizzo geopolitico malevolo, che colpisca anche incidentalmente o correlativamente la Ue. Vale a dire le basi di una progettualità geostrategica della Ue verso l’Africa, imperniata in primo luogo sulla “conoscenza situazionale”, per dirla con un lessico gradito a Bruxelles. In altre parole, con la responsabilità politica del processamento di informazioni di intelligence economica che, in assenza di una struttura unionale di intelligence, possa comunque risultare dalla collaborazione tra le intelligence nazionali dei paesi membri.
E pur tenendo presente anche il fatto che tali informazioni saranno scelte e centellinate in ragione del perseguimento dei singoli interessi nazionali, il loro contributo risulterà comunque molto utile, se non indispensabile, per potere prevedere e gestire al meglio i rischi geopolitici latenti nell’area africana in particolare. In cui, escludendo taluni specifici paesi come la Libia, è sinora risultato carente un intervento diplomatico della Ue assertivo di una sua autonomia strategica idonea ad essere più incisiva dell’intervento di singoli stati membri, e capace al tempo stesso di andare oltre l’accondiscendenza alle finalità americane di bloccare l’espansionismo cinese nell’area. Un’area nella quale, a differenza dell’est-asiatico, Bruxelles potrebbe peraltro esplicare un ruolo incisivo pari, se non migliore, di quello di altri importanti player mondiali: USA, Cina, Russia, Turchia, Arabia Saudita.
Questo nel momento in cui l’Italia paga certamente più di altri Stati membri in termini di volumi di export e di investimenti mancati gli effetti di tale stato di perdurante destabilizzazione geopolitica dell’Africa centro-settentrionale. Export ed investimenti sono soggetti a costi di natura assicurativa previsivamente crescenti, ovvero posposti o bloccati da rinascenti conflitti etnici e tribali come quelli in Etiopia, un paese che fino al 2020 veniva portato a modello di sviluppo. Per non parlare dei colpi di Stato in Sudan ed in Mali, dei rischi geopolitici riconducibili al Corno d’Africa e soprattutto all’ISGS, lo Stato Islamico del Grande Sahara, che nella zona di confine tra Mali, Niger e Burkina Faso è diventato il gruppo più letale del Sahel. Senza infine dimenticarsi dei rischi-paese presenti in una Nigeria ricca di petrolio.