Libia. Il ministro “di Tobruk” minaccia, ‘o ci sostenete o arrivano i migranti’

Lamorgese punta a campi in Libia gestiti dall’Onu.

di Guido Keller

Il ministro ad interim degli Esteri del governo “di Tobruk”, Abdulahdi Ibrahim Lahweej, è arrivato in Italia per un incontro all’Istituto Friedman, al quale hanno preso parte esponenti del mondo politico e parlamentari. Il governo “di Tobruk”, nato nel 2014 con la fuga del parlamento ad est, si contrappone a quello riconosciuto dalla comunità internazionale “di Tripoli”, guidato da Fayez al-Serraj. Vede come uomo forte il generale Khalifa Haftar, il quale ha mancato l’obiettivo di conquistare Tripoli entro il 5 maggio impantanandosi con i suoi a pochi chilometri dalla capitale libica. Gode dell’appoggio di Egitto ed Emirati Arabi Uniti, paesi che in barba alle risoluzioni Onu hanno provveduto ad inviare finanziamenti e armi. In modo occulto anche la Francia ha fatto avere il suo sostegno ad Haftar.
Come aveva fatto Haftar nel 2015, Abdulahdi Ibrahim Lahweej nel suo intervento ha giocato la carta della minaccia di un’Italia invasa dai migranti: “all’Europa e all’Italia non conviene appoggiare il governo di Tripoli”, ha detto, in quanto “lì comandano le milizie e fino a quando le cose non cambieranno, sulle vostre coste arriveranno i barconi con i migranti”. Lahweej ha insistito che quello “di Tobruk” è “l’unico governo legittimato dal popolo, che lo ha eletto”, ed ha fatto notare che la questione libica non è politica ma di sicurezza. Per questo motivo è necessario “risolvere il caos delle armi, alimentato dall’assenza del governo da Tripoli. Ci sono 21 milioni di pezzi d’armi, una buona parte di queste arriva alle milizie della capitale dal Qatar e dalla Turchia”.
In realtà il quadro libico vede arrivare armi e mezzi per entrambe le armi, e se a Tripoli oggi c’è il sostegno della Turchia, ad Haftar nel 2016 è arrivata una nave con 1.050 mezzi ed armamenti vari dall’asse emirtino-egiziano. Ad Haftar è sempre andata male la richiesta di ottenere armi dalla Russia, ma per tentare di prendere Tripoli il generale ha fatto arrivare in luglio dal Sudan un migliaio di mercenari.
Lahweej ha anche insistito sulla necessità di “liberare Tripoli” come pure di “raccogliere tutte le armi, istituire il governo del popolo”. “Vogliamo – ha insistito – un paese nuovo, democratico, che rispetti gli esseri umani, senza prigioni. Un governo dove vige la legge, dove non ci siano più immigrazione e traffico di esseri umani”.
Il ministro del governo non riconosciuto è poi tornato a parlare di immigrazione, argomento sensibile in Italia, puntando il dito contro il governo “di tripoli” “gestito dalle milizie, che lucrano sull’immigrazione e il traffico di esseri umani”. Un fenomeno dovuto al fatto che “lì il governo legittimo è assente”, ed “è da lì che partono i migranti, non da Bengasi, che noi abbiamo stabilizzato”.
Preannunciando il fallimento delle future conferenze di pace, com’è stato con quella organizzata dal premier Giuseppe Conte a Palermo, “se non dopo che sarà sistemata la questione della sicurezza”, Lahweej ha ricordato che “non è possibile parlare di democrazia ed elezioni in Libia se il Paese non esce da questo caos”.
Il ministro del governo non riconosciuto ha poi detto che, una volta conquistata Tripoli, “l’Italia avrà un ruolo nella costruzione della Libia del futuro”, perché “al vostro Paese ci legano forti relazioni storiche, politiche, economiche e culturali”. Per cui “Vogliamo riconfermare il Trattato di amicizia Italia-Libia del 2008. Desideriamo che anche l’Italia, che è un paese amico, investa da noi, come già fanno nel nostro territorio alcune società americane e cinesi”.
Rispondendo alla domanda di un giornalista Lahweej ha spiegato che è necessario individuare con il governo italiano “una soluzione definitiva al problema dell’immigrazione, perché quella di bloccare in mare i barconi con i migranti non funziona”.
Il ministro dell’Interno italiano Luciana Lamorgese è intervenuta alla Camera sul memorandum Italia-Libia sottoscritto nel 2017, ed ha spiegato che alla graduale chiusura dei centri per migranti in Libia, nell’occhio del ciclone per il mancato rispetto dei diritti umani, “verrà favorita una gestione diretta delle agenzie dell’Onu. Servono iniziative bilaterali volte a richiedere l’apertura di corridoi umanitari, che sono una delle iniziative più significative per la risoluzione della crisi migratoria”.
Alla Camera la ministra dell’Interno Luciana Lamorgese ha tenuto un’informativa sul memorandum Italia-Libia siglato nel 2017 per il contrasto all’immigrazione illegale e al traffico di esseri umani. Il 2 novembre è scattato automaticamente il rinnovo del dell’accordo, nato da un patto tra il governo Gentiloni e il capo del governo provvisorio di Tripoli, Fayez Al-Serraj, con l’obiettivo di limitare le partenze dal dalla costa settentrionale dell’Africa.
“Il memorandum – ha detto Lamorgese – è stato sottoscritto a Roma nel 2017, l’Italia era in quel momento in una fase molto delicata per la crisi dell’immigrazione. Il suo termine è fissato al 2 febbraio 2020. Ha previsto la costituzione di una commissione congiunta, per il controllo e il monitoraggio. Il memorandum ha svolto un ruolo importante per non isolare le autorità libiche e per il contrasto dei traffici di esseri umani. Oggi l’Italia è il principale collaboratore della Libia, e grazie al coinvolgimento dell’Oim e dell’Unhcr sono state migliorate anche le condizioni dei centri di accoglienza”.
Ha poi parlato della necessità di rafforzare la sorveglianza presso i confini meridionali della Libia e di coinvolgere le municipalità “per assicurare la diffusione di materiale medico e scolastico”.