Lo stop al gas russo: Di Maio in Mozambico, mentre i russi guardano a India e Cina

di Enrico Oliari –

Già nel 2014 l’amministratore delegato di Eni, Claudio Descalzi, aveva annunciato da Maputo che “L’Eni ha fatto in Mozambico la più grande scoperta di gas della sua storia”, ovvero “2.400 miliardi di metri cubi di gas che consentirebbero di soddisfare il bisogno degli italiani per 30 anni”.
Nel marzo 2016 il governo del Mozambico aveva poi approvato il Piano di Sviluppo del giacimento Coral di Eni per la realizzazione di un impianto di liquefazione offshore (“floating liquefied natural gas” – FLNG), il primo nel continente africano. Gli iniziali investimenti erano stati di 8 miliardi di euro.
A seguito della crisi ucraina e quindi per affrancare il paese dalla dipendenza di gas proveniente dalla Russia, il ministro degli Esteri Luigi Di Maio si è recato in questi giorni, spesso accompagnato da Descalzi, in diversi paesi fornitori, dal Congo all’Angola, dal Qatar all’Algeria.
In questi giorni Di Maio era con Descalzi in Mozambico, dove ha incontrato “la disponibilità delle autorità locali a rafforzare la cooperazione energetica”. A seguito dell’accordo il ministro ha affermato che “continuiamo a consolidare rapporti sull’energia, in modo da renderci autonomi dal gas russo e tutelare famiglie e imprese italiane”.
Secondo il ministro per la Transizione Ecologia Roberto Cingolani, l’Italia potrebbe sganciarsi dalle forniture russe in 24-30 mesi.
Dei 76 miliardi di metri cubi di gas che arrivano ogni anno in Italia solo poco meno di 4 miliardi vengono estratti nel nostro paese, un gap dovuto anche alle scelte politiche che si sono opposte ad esempio alle trivelle nel Mar Adriatico. Tra l’altro una legge del 2008, la 133, ha sancito il divieto di estrarre gas nella parte settentrionale dell’Adriatico, dove ci sono le riserve maggiori e dove altri paesi costieri stanno facendo man bassa.
Attraverso il gasdotto Enrico Mattei, che poi diventa gasdotto Transtunisino, arriva il gas dall’Algeria (27,8%); attraverso il Greenstream viene fornito il gas dalla Libia (4,2%); attraverso il Bte/Tanap/Tap arriva il gas dall’Azerbaijan (9,5%); da Norvegia e Olanda viene importato il 2,9% di gas, attraverso il Trans Europe Naturgas Pipeline (Tenp); il resto arriva con le navi in forma liquefatta, in particolare dal Qatar, il 13,1% del prodotto acquistato.
Dalla Russia arriva in Italia il 38,2% del fabbisogno italiano di gas, percentuale che nei propositi si vorrebbe portare a zero, anche se i costi a imprese e famiglie potrebbero aumentare e non di poco.
Se anche l’Italia riuscirà a raggiungere l’indipendenza dal gas russo, in un contesto europeo non si potrà lasciare indietro altri paesi. Tradotto, non si può scaldare l’Italia e lasciare al freddo la Germania, o peggio la Finlandia, che dipende dalla Russia per il 93% delle sue forniture.
In Italia il gas viene usato, oltre che per cucinare e per scaldarsi, anche per la produzione di energia elettrica, e forse potrà essere procrastinata lo stop del 2025 al carbone, che oggi rappresenta il 4,1% della produzione italiana con 6 centrali attive e una spenta, che potrebbe essere presto riattivata.
Il fabbisogno di energia dell’Italia nel 2021 è stato di 318,1 miliardi di kWh, ed il gas rappresenta il 48,8% del mezzo con cui produrre energia. Gli altri sono, oltre al carbone, l’idroelettrico (17,7%), l’olio (1%), l’eolico (6,9%), il solare (9,4%) ed altri, tra cui gli inceneritori e le biomasse (12,3%).
La fornitura di gas è costante tutto l’anno, perché quando cala la richiesta vengono riempiti i depositi sotterranei.
Se all’inizio per la Russia peserà lo stop all’esportazione di gas nel ricco mercato europeo, in un tempo neanche troppo lontano Gazprom e gli altri attori dell’energetico russo punteranno verso maxi-paesi come il Pakistan, l’India e la Cina, che non a caso si sono astenuti sulla risoluzione di condanna dell’Onu per l’aggressione all’Ucraina. Alle varie cancellerie sono prontamente arrivati dalle ambasciate di Mosca gli “Apprezzamenti per la posizione indipendente e ponderata”, ma se si pensa che solo India e Cina rappresentano 2,5 miliardi di possibili fruitori del gas russo, diversamente non poteva essere.
La Russia esporta in Cina già 16,5 miliardi di metri cubi di gas attraverso il “Power of Siberia”, oltre che con le navi, ma agli inizi del mese il numero uno di Gazprom, Alexei Miller, si è recato a Pechino dove ha stretto l’accordo per la costruzione del gasdotto Soyuz Vostok, che porterà 50 miliardi di metri cubi di gas all’anno.
La Russia vende ogni anno petrolio all’India per un miliardo di dollari, ma nei giorni scorsi il vice primo ministro russo Alexander Novak si è visto in teleconferenza con il ministro indiano del Petrolio e del Gas naturale Hardeep Singh Puri, proprio per avviare una piattaforma di investimenti volti a far arrivare nel subcontinente indiano quel gas che non arriverà nelle case degli europei.