L’ONU e la sospensione della Russia dal Consiglio dei Diritti Umani

di Anceo Agostini

Il 3 aprile 2022, tre giorni dopo la ritirata dei militari russi dalla cittadina di Bucha situata a una ventina di chilometri da Kiev, gli organi di informazione di tutto il mondo diffondevano le foto e i filmati del truce eccidio perpetrato dagli “ospiti’ prima della loro dipartenza. Le immagini raccapriccianti e gli articoli correlati suscitavano sentimenti di sgomento e indignazione a livello universale.
Il 7 aprile, su proposta degli USA, l’ONU approva una risoluzione che sospende la partecipazione della Russia al Consiglio dei Diritti Umani.
Se da una parte la sospensione della Russia dal Consiglio dei Diritti Umani non comporta per quest’ultima alcuna limitazione alla propria attività in seno all’Organizzazione delle Nazioni Unite, dall’altra rappresenta un formale ostracismo volto a consolidare a livello internazionale l’immagine negativa di quel Paese, a plasmare la quale già da tempo vistosamente concorrono i mass media occidentali.
La sospensione assume dunque un valore simbolico che risalta ancor più se rapportato alla concomitante presenza nel Consiglio stesso dell’Ucraina e all’unico precedente storico di un simile provvedimento che nel 2011 aveva interessato la Libia di Gheddafi.
Ma soprattutto questa seconda circostanza risulta particolarmente adatta a creare un corto circuito mediatico tra la figura dell’attuale presidente della Russia e il “macellaio” Muammar.
Sotto questo aspetto non va nemmeno sottovalutata (anche se immediatamente percepibile solo dal pubblico anglofono) la raffinata correlazione fonetica tra il nome della città nella strage Bucha (Буча – Buča, pronuncia bucia) e il sostantivo inglese “butcher”, che significa macellaio. Quando il presidente Biden nel marzo del 2021, in una intervista alla ABC News, in modo quasi titubante, aveva ammesso che Putin fosse un assassino, la notizia aveva fatto immediatamente il giro del mondo. Il Ministero degli Esteri russo e la stampa erano rimasti letteralmente allibiti perchè mai, nemmeno durante la Guerra fredda e nemmeno nei confronti di Stalin, nessun politico di tale livello si era azzardato ad esprimere simili apprezzamenti nei confronti di un capo di Stato. Forse qualche perplessità sull’opportunità dell’esternazione presidenziale era balenata tra i suoi collaboratori e nei ranghi dei suoi alleati europei. Ma qualche giustificazione pur c’era, e tutto il mondo ne era stato debitamente informato: il fallito tentativo di avvelenamento dell’ex spia traditrice Skripal, in Gran Bretagna, per mano di due agenti del servizio segreto militare russi (GRU) e, più recentemente il maldestro tentativo di eliminare il temibile avversario politico Navalny, utilizzando in entrambi i casi la famigerata arma biologica “novichok”. Trascorso solo un anno, quell’ardita dichiarazione di Biden è diventata un’accezione universalmente condivisa dalla comunità democratica, mentre il lessico del presidente statunitense si è arricchito di nuove espressioni per definire il suo avversario: “criminale di guerra”, “dittatore assassino”, e ultimamente anche “macellaio”.
Quest’ultimo epiteto era stato a suo tempo ampiamente utilizzato per un altro personaggio inviso alla comunità democratica, il presidente jugoslavo: “con la Nato contro il macellaio Milosevich”, esortava Pannella da Radio Radicale nel 1999.
Nel prosieguo la storia avrebbe dimostrato che entrambi i macellai sarebbero finiti male.
Da qui ad auspicare l’eliminazione fisica del presidente russo, o perlomeno la sua destituzione, mediante un colpo di stato il passo è stato piccolo. Della diffusione di questa “speranza” se ne sono fatti carico numerosi politici e giornalisti accoliti della libera stampa senza peraltro minimamente intuire il pericolo di una possibile caduta “dalla padella nella brace” nel caso di una simile piega degli avvenimenti.
Il risultato conseguito dal blocco democratico occidentale nella votazione può essere considerato più che soddisfacente: a favore della proposta statunitense hanno votato 93 Paesi, contro 24, mentre 58 si sono astenuti; ma se guardiamo le tre cifre che sintetizzano distribuzione dei voti dei 175 Paesi che hanno espresso la propria posizione da un’altra angolazione lo splendore della vittoria potrebbe offuscarsi. I 93 Paesi che “volens nolens” (considerata la presenza in questo gruppo di Serbia e Ungheria e le dichiarazioni di Vučić) hanno appoggiato la proposta americana rappresentano circa 1.887 milioni individui; la popolazione rappresentata dai contrari ammonta a circa a 2.109 milioni, mentre gli astenuti si aggirano intorno a 3.480 milioni (1). Ovviamente è lecito obiettare che le regole del gioco sono state da tempo accettate da tutti e che il blocco liberale raggruppa principalmente Paesi di serie “A”, ma qualche dubbio rimane. E’ comunque innegabile che gli Stati Uniti siano riusciti a trovare gli argomenti giusti per consolidare attorno a sé tutti i Paesi dell’Europa libera.

Note:
1 – Dati rilevati dal sito ufficiale della Cia.

(Foto: Depositphotos).