Momento favorevole per una geopolitica del multilateralismo

di Massimo Ortolani

Tre donne alla guida di organizzazioni internazionali del calibro di FMI, UE e BCE, ed una nella veste di ministro del Tesoro della nazione più potente al mondo. Prossimamente guidata da un presidente che non ha lesinato ad integrare il suo staff con personaggi femminili di spicco nel loro ambito professionale.
La fortunata anomalia, rispetto al passato, di una compresenza così ampia di personaggi femminili a vertici politici ed istituzionali può forse essere foriera di un significativo cambio di passo in ambito geopolitico? C’è infatti un improcrastinabile esigenza per iniziative contrassegnate dal coraggio e dalla saggezza necessarie ad affrontare ambiziose sfide che il presente contesto di crisi economico-pandemica planetaria renderà inevitabili nel prossimo futuro. E in primo luogo nell’auspicabile spirito di un rinnovato multilateralismo, a vantaggio di regole per una comunità di stati che è fatta di uomini, ovvero di animali sociali naturalmente protesi verso un senso di cooperazione, incompatibile con l’estremo individualismo nazionalistico.
Ma trattasi di sfide per le quali ci si comincia già ad attrezzare. Infatti grandi sono le aspettative riposte nelle recenti proposte di dialogo UE-USA, come emerge dal testo della loro nuova agenda di collaborazione per il cambiamento globale. Che prevede significativi impegni sulle principali tematiche geopolitiche attualmente in discussione, a partire dalla costituzione di un consiglio euroamericano, dedicato al commercio e alla tecnologie, un Transatlantic AI Agreement e ad una joint leadership on reforming the WTO.
Mentre indicazioni non incoraggianti sullo sviluppo economico nel lungo termine vengono segnalate dal FMI, il quale ritiene che le nuove tecnologie, connesse in specifico alla robotica ed alle applicazioni di intelligenza artificiale e di automazione, rischiano di ampliare il divario tra paesi ricchi e poveri, spostando maggiori investimenti verso le economie avanzate dove l’automazione è già presente.
Con la conseguenza negativa di minacciare di sostituire, invece che di integrare, la loro crescente forza lavoro a basso costo, che ha costituito il vantaggio su cui si è tradizionalmente poggiato lo sviluppo della globalizzazione.
Inoltre un altro paradigma comportamentale che sarebbe da sfatare definitivamente, per facilitare la ripresa economica su base globale, è quello del cosiddetto shortismo. Rivelato dal modo in cui il mercato azionario, in particolare quello statunitense, ha sinora incoraggiato le società quotate in borsa a dare la priorità ai profitti a breve termine, preferibili rispetto a quelli a lungo termine, e preferibili dal punto di vista dell’intera società. Con le conseguenza di un crescente frattura tra mercati azionari ed economia reale, imponente crescita degli asset immateriali e soprattutto irrilevanza crescente del fattore lavoro rispetto al capitale. Sotto questo profilo, però, il Next Generation Recovery Fund (NGRF) segna un cambio di passo storico nella misura in cui configura una progettualità di lungo termine già a partire dalle parole iniziali del suo titolo. E poi perché focalizzato su tematiche come: clima, educazione, trasporti, ecc. tematiche tutte, per dirla con Jeffrey Sachs, che prefigurano un futura diversa combinazione tra prosperità, livelli di disuguaglianza più bassi, e sostenibilità ambientale.
Nel valutare le modalità attuative del NGRF, va poi tenuto conto anche del dominio della digitalizzazione. Grazie alla quale tecnologia e finanza, driver attuali del capitalismo politico, stanno consolidando sul piano economico la preminenza dell’immaterialità sulla materialità, delle piattaforme sugli stabilimenti industriali. Mentre il Covid ci ha messo molto di suo nell’accelerare l’avvento del premierato, sul piano geopolitico, del valore strategico dell’informazione e della connessa profilazione algoritmica. E nell’accelerare in pari tempo anche la confluenza dello sviluppo capitalistico sotto l’egida e l’ala della politica, guidata da intenti di neoprotezionismo, di condizionamento debitorio, ma soprattutto di interventismo statale imposto/richiesto per esigenze di salvataggio imprenditoriale.
Ma positive attese dovrebbero essere associate anche all’operato del G20 per il 2021, e alla sua presidenza in particolare, che fa ora capo al nostro paese. Amplia è l’agenda delle tematiche da sottoporvi ma, data la peculiarità del rapporto Debito/PIL che connoterà il nostro paese di qui a pochi anni, molto opportuno sarà il focus del dibattito geopolitico appuntato su stabilità e sostenibilità finanziaria nel supportare la resilienza alle emergenze globali. Un dibattito indissociabile da quello sulle fonti di prelievo fiscale con le quali ripagare il debito statale. In gran parte ostacolato dalle posizioni trumpiane circa le possibilità/modalità di applicazione della Webtax, dall’apatia di paesi membri della UE verso l’applicazione di una aliquota minima di corporate tax, ovvero di limiti alla deduzione degli interessi passivi a fini fiscali. Ma ostacolato anche dalla vicenda dei dazi compensativi (Boeing-Airbus) ora resa potenzialmente più dannosa per i paesi UE dalla possibile inapplicazione di tali dazi all’import di aerei prodotti negli USA, da parte della Gran Bretagna in Brexit. Un fenomeno, questo ultimo, che però consegna all’Italia l’opportunità di un più incisivo e proattivo ruolo di diplomazia interna, su proposte che ci possano vedere come strategico ago della bilancia tra i due driver: Francia e Germania.
A tale tematica va inoltre collegata quella degli aiuti pubblici e delle garanzie e dei rinvii delle imposte che, a seguito della pandemia, e a fronte del più incisivo rapporto stato-mercato che si è reso necessario per il sostegno dell’economia, hanno raggiunto nell’insieme quasi il 25% del PIL dell’Unione. Un rapporto che, pur tenendo presente la migliorata disponibilità della stessa UE all’idea di misurare la competitività dell’industria europea rispetto al resto del mondo, dovrà continuare ad essere declinato senza che la UE intacchi le sue radici storiche in materia di concorrenza e di mercato.
In merito alla UE va inoltre aggiunto che, sinora, sia i vari programmi di QE della BCE, che l’enfasi mediatica posta sul Recovery Funds e sulla connessa emissione di bond comuni (RF) da prestare ai singoli paesi membri, hanno consentito di alzare un velo di silenzio sulle modalità di rimborso degli stessi negli anni a venire. Volendo per ora vedere il bicchiere mezzo pieno si può osservare che il percorso di rientro dal debito sarà certo collocato anche nel prossimo futuro su di tragitto graduale meno stringente della regola pre-pandemica della riduzione di un ventesimo l’anno in media dell’ultimo triennio.
Per quanto riguarda l’immediato invece la BCE ha già dichiarato già di volere allargare il suo QE almeno sino a Marzo 2021. Lasciando però intendere che un minore utilizzo potrebbe avvenire solo alla condizione in cui siano i mercati ad acquistare il debito a condizioni convenienti.E, da questo punto di vista, la definitiva approvazione del NGRF può essa stessa costituire una delle condizioni idonee a spingere i mercati ad acquisti con ulteriore ribasso degli spread-paese, anche se significativi rischi ancora si intravedono all’orizzonte. La Brexit senza deal rappresenta, infatti, una incognita finanziaria tuttora insondabile a pochi giorni dal termine. E, ancora, il rischio di ritardi alla tanto agognata partenza del programma NGRF, a seguito di una risposta non in linea con le attese, da parte della Corte UE, sul testo legislativo che, chiudendo decisamente un occhio sullo stato di diritto in Polonia ed Ungheria, ha comunque consentito di sbloccarne il negoziato.
Per quanto riguarda il futuro del MES, è lecito per lo meno attendersi che la riforma che si chiede di esaminare produca un testo di meccanismo che non si presti al ginepraio di interpretazioni che hanno investito il meccanismo attuale. Tra chi sostiene che non sarebbe adeguato alle esigenze di un paese come il nostro, chi considera comunque la positività della sua opzionalità, chi considera invece questa ultima come detrimentale sul piano reputazionale, a motivo dello stigma che si associerebbe al suo potenziale utilizzo e chi, al contrario, ritiene che il solo fatto che il MES esista avrebbe l’effetto di scoraggiare possibili pressioni nei mercati finanziari. E analoga differenza di valutazione si può applicare al MES sanitario, tra chi lo considera a condizionalità limitata al solo utilizzo delle risorse per la spesa sanitaria, e chi è invece di tutt’altro avviso.
Comunque se, negli anni a venire, i tassi di interesse dovessero lievitare significativamente, nel rispetto di un principio di solidarietà se ne dovrebbe potere concedere l’utilizzo anche ai paesi che ne facessero richiesta trovandosi in condizioni di sostenibilità del debito e di pieno accesso ai mercati, ma a costo elevato. E però prevedendo che tali paesi paghino al MES un interesse aggiuntivo. La cui misura dovrebbe essere ragguagliata alla metà della differenza tra il tasso UE e quello che la nazione richiedente spunterebbe approvvigionandosi sul mercato allo spread commisurato al suo livello di rischio paese.