Perù. Proteste per le miniere di Conga. E la Chiesa sta con i più forti

di Enrico Oliari –

Proclamato lo stato d’emergenza nelle province peruviane di Celendín, Hualgayoc e Cajamarca in seguito ai pesanti scontri seguiti dovuti al progetto dell’azienda all’azienda Yanacocha, filiale della statunitense Newmont, di prosciugare lagune e scavare valli per estrarre oro.
Le miniere di Conga sono il più grande investimento minerario (quasi 5 miliardi di dollari) della storia del Perù e, come ha sostenuto Luis Guerrero, un ex sindaco a capo ora di un collettivo di commercianti, “l’acqua non viene contaminata, non c’è alluminio nell’acqua, è ben al di sotto degli standard internazionali”.
Non sono della stessa idea i 230mila andini residenti,  popolazione che da sempre vive di allevamento e di agricoltura, i quali si sono mobilitati da tempo contro il progetto ed al grido di “Conga no va” protestano per ciò che definiscono “altamente distruttivo e contaminante”.
Negli scontri con le Forze dell’ordine vi sono già stati 5 morti e diversi arrestati ed oggi il presidente peruviano Ollanta Humala ha affidato al vescovo di Trujillo, monsignor Miguel Cabrejos, un tentativo di mediazione.
Il settore minerario, con il 60% delle esportazioni, è il principale settore economico del Perù, ma anche la prima causa di conflitti sociali ed ambientali: è quindi vergognoso come Chiesa si presti al gioco politico di far pressione sulla fede degli andini in nome del guadagno americano.