Scuto: le rivoluzioni arabe, inghiottite dalla religione e dai signori della guerra

'Pia illusione aspettarsi che gli eredi siano migliori dei padri'.

a cura di Gianluca Vivacqua

Nel 2010-11 le Primavere arabe “sbocciarono” in pieno inverno, come quelle europee del 1848-‘49. In un certo senso si può dire che il 2010-‘11 fu il ’48-‘49 dell’Africa mediterranea, che apre riflessioni storiche molto simili a quelle del ’48-‘49 che già si studia sui libri di scuola: si trattò di vero cambiamento? O è stata piuttosto una girandola di rivolgimenti politici destinati a culminare in una parziale o totale Restaurazione? Dal Sudan, dove lo raggiungiamo per quest’intervista, prova a darci una risposta l’inviato Fabio Scuto, che nel 2011 a una narrazione senza sosta dei quattro angoli del globo condotta per Repubblica aggiunse anche quella del capitolo egiziano delle Primavera arabe.

– A undici anni esatti dalle Primavere arabe, quale Paese dell’Africa mediterranea e del Vicino Oriente può dire di aver fatto davvero dei progressi politici?
“In diversi Paesi della regione, quel movimento di protesta frettolosamente battezzato “primavera araba” si è rapidamente trasformato in un “inverno islamico”. La democrazia non è un vaccino da somministrare rapidamente, ma una scelta che si matura attraverso il tempo, l’esperienza e la maturità politica e sociale, con la separazione tra religione e Stato. È estremamente difficile far nascere elementi democratici in Paesi che sono stati trent’anni sotto il tacco di un raìs che ha governato col pugno di ferro. Alla fine la rete religiosa, delle migliaia di moschee presenti in ogni Stato mediorientale o africano, ha la meglio su giovani partiti e sulle organizzazioni nate sulla rabbia contro i vecchi regimi. Se guardiamo oggi la mappa politica di questi Paes,i al potere ci sono i militari come in Egitto, gli islamisti come in Tunisia, o il caos come in Libia, dove nessuno dei due elementi della società è riuscito a sconfiggere l’altro e il Paese è invaso dalle milizie mercenarie”.

– Che cosa ha consentito ad al-Assad di resistere rispetto a Ben Ali, Gheddafi e Mubarak?
“La Siria ha un’importanza strategica di diverso valore rispetto ad altri Paesi della regione mediorientale. Incuneata fra Turchia, Iraq, Giordania e Israele, la Siria gioca un ruolo regionale di altissimo livello. Qui una minoranza alawita da 50 anni è alle vette dello Stato dai tempi di Hafez al-Assad, il padre dell’attuale presidente, che ha mantenuto il potere con il pugno di ferro e una repressione che può essere paragonata per ferocia solo a quella di Stalin in Russia. Suo figlio, il giovane oftalmologo educato a Laodicea (Latakia), ha illuso per breve tempo l’occidente prima di inserirsi nella stessa scia del padre. E’ evidente che senza l’aiuto della Russia, che ha in Siria l’unico approdo nel Mediterraneo per le sue navi da guerra a Tartus, non sarebbe rimasto al suo posto. Il movimento per la democrazia che ha cercato di rovesciare Assad è stato rapidamente soppiantato dagli islamisti, accorsi in massa dall’Iraq dopo la loro sconfitta militare. L’Isis – lo Stato Islamico – è nato in Iraq ma è in Siria che ha cercato di far nascere il suo califfato. Se il Daesh è stato sconfitto in Siria, purtroppo lo dobbiamo alla Russia di Putin e non all’Europa – timida e incapace di avere una vera politica estera come dimostrano gli ambigui rapporti con la Turchia – né agli Stati Uniti, la cui influenza in Medio Oriente è stata distrutta dall’amministrazione Trump”.

– Secondo lei perché in Arabia Saudita nel 2010 non c’è stato alcun moto insurrezionale?
“Il regno wahabita è governato dagli al-Saud, unica dinastia che ha dato il proprio nome al paese che governa da quasi un secolo per grazia dell’Impero britannico del tempo; sopravvive grazie all’immensa riserva di petrolio sotto le sabbie del suo deserto di cui l’America e l’Occidente in genere hanno avuto un gran bisogno. E’ l’unico Stato-famiglia con un seggio all’Onu. Il reddito medio dei sudditi sauditi è fra i più alti del mondo. Nel Paese degli 11mila principi e principesse non ci sono indigenti, i lavoratori sfruttati, quasi 9 milione di persone, arrivano da Egitto, Pakistan, Sudan, India e Filippine. Sono i veri servi della gleba, senza diritti e privati del passaporto al loro arrivo in Arabia Saudita. I sauditi spendono miliardi di dollari in armamenti americani ogni anno ma poi sono incapaci di combattere come dimostra il fatto che la guerra che hanno scatenato nello Yemen e pagata con i loro petrodollari è combattuta da milizie mercenarie sudanesi, pakistane e persino colombiane e honduregne. Fatte salve le rivendicazioni per i diritti delle donne – che in Arabia Saudita hanno diritti pari a quelli dei cammelli – non c’è protesta sociale perché non c’è coscienza politica ma solo religiosa che fa riferimento a Muhammad ibn Abd al-Wahhab, un dotto islamico del XVIII secolo artefice dell’interpretazione più retrograda e oltranzista dell’Islam”.

– Lei pensa che bin Salman sia più da tiranno tipo Gheddafi o da califfo tipo Saddam Hussein?
“Mohammed Bin Salman, MBS per brevità, è il principe designato ma è un usurpatore. La successione sul trono di Riad spettava, come è sempre avvenuto, al fratello di suo padre Salman, il principe Ahmed Bin Nayef, ultimo discendente diretto del fondatore del regno, ora detenuto nel deserto. Con un colpo di mano, dopo la sua designazione, ha cercato di liberarsi di tutti i possibili oppositori dentro e fuori la casa reale. Chi è scomparso, chi è stato imprigionato e chi è fuggito all’estero. Altri critici come Jamal Kashoggi sono stati eliminati nel modo che ormai tutti conosciamo. E’ una speranza perduta quella di politici, analisti e giornalisti – che spesso vivono a Londra, Washington o Parigi – di vedere in Medio Oriente nei principi ereditari o nei successori designati, governanti migliori dei loro padri, senza una prova evidente se non essere più giovani e istruiti dei genitori e in grado di conversare in un buon inglese. È seducente la favola del rampollo giovane e liberista di un regime dispotico che sale al trono con idee entusiasmanti per aprire al mondo il regno che sta per ereditare. E’ una narrazione irresistibile nel fascino, ma non funziona così. Quasi mai. E MBS non fa eccezione”.