Speranza, ‘Il Marocco, quel tranquillo Paese che ama il suo re’

'Continua a giovargli un rapporto saldo con l’Europa'.

a cura di Gianluca Vivacqua

Nella turbolenta area afro-mediterranea così come nella polveriera mediorientale le poche monarchie ereditarie appaiono come una garanzia di stabilità interna. In effetti sembra che i destini della monarchia alawita marocchina e di quella hashemita giordana scorrano su binari convergenti: una sensazione rafforzata, in questo particolare momento storico, dal fatto che entrambe sono incarnate da sovrani giovani, con vedute moderniste. Possono stringersi la mano, Mohammed VI e Abdallah II, rassicuranti baricentri della politica dei loro Paesi, a propria volta rassicurati da un gradimento popolare assai elevato: naturale che, in questa situazione, le primavere arabe li abbiano solo sfiorati o leggermente bruciacchiati. Del Marocco di Mohammed VI parliamo, più nello specifico, con Fausta Speranza, giornalista inviata dei media vaticani, al Radiogiornale internazionale di Radio Vaticana dal 1992 e prima donna a occuparsi di politica internazionale sulle colonne de L’Osservatore Romano. Di Africa, non solo mediterranea, si è occupata molto nei suoi reportage.

– Speranza, qual è lo stato di salute della monarchia marocchina? Si può parlare di un suo splendido isolamento nello scacchiere dell’Africa mediterranea?
“Mi permetta di dire spontaneamente che ho qualche difficoltà a parlare di “isolamento” per il Marocco, seppure al positivo. E’ un Paese niente affatto isolato. Vorrei subito sottolineare che circa un anno fa è stato il quarto Paese dopo gli Emirati Arabi Uniti, il Bahrein e il Sudan ad aderire ai cosiddetti Accordi di Abramo con Israele. E aggiungo che è stato il primo Paese arabo a stringere con Israele anche un accordo di tipo militare. Per non parlare dei legami con l’Unione europea e con alcuni Paesi europei, che restano significativi nonostante il ricorso vinto nel 2021 da parte del Sahara occidentale sugli accordi commerciali stabiliti tra Ue e Marocco nel 2013 e rinnovati nel 2019. E nonostante che il 2021 abbia segnato anche momenti di tensione tra Mohammed VI e la Spagna e la Germania. Il motivo degli attriti è stato anche in questo caso il Sahara Occidentale, dopo il riconoscimento da parte degli Stati Uniti dell’autorità marocchina sulla regione proprio il 10 dicembre 2021. In ogni caso, è sempre privilegiata ad esempio la relazione con Parigi, che sussiste fin dal 1956, anno in cui la Francia concesse l’indipendenza al Marocco a differenza di quanto fatto con l’Algeria, che dovette passare da una sanguinosissima guerra per arrivare alla decolonizzazione. Detto questo, immagino che la domanda intenda individuare un certo scollamento rispetto a problematiche che accomunano l’area che identifichiamo con la sigla Mena, cioè territori mediorientali e del Nord Africa. In genere, l’area Mena ci richiama a traffici di esseri umani, instabilità politica. Sono fenomeni che effettivamente nelle cronache non ci riportano al Marocco. In questo senso è “un’isola” felice. In questo mondo, che vive guerre e conflittualità a tanti livelli e anche crisi sociali nelle più forti democrazie, in questa fase storica oserei dire che non vedo nulla di “splendido”, ma certamente il Marocco ha una sua stabilità, una certa coesione sociale e un dibattito parlamentare che lo distinguono. A proposito del ruolo della monarchia ricordo che in Marocco, dal 1963, sono state approvate sei diverse Costituzioni. L’ultima nel 2011 in risposta al movimento di protesta nato sull’onda delle cosiddette Primavere arabe. Il fatto che la monarchia abbia risposto tempestivamente alle istanze del movimento analogo a quello delle cosiddette primavere arabe con una nuova costituzione ha certamente rafforzato la figura del re. Undici anni dopo, il re Mohammed VI rimane il vero centro di potere del Paese. Una buona parte della popolazione ha perso fiducia nei partiti e in una serie di meccanismi istituzionali, compresa l’ultima legge elettorale del 2020 che di fatto risulta favorire la formazione di governi deboli e frammentati. Ma il fatto che in altri Paesi le forze più sane che chiedevano riforme siano state soppiantate in un modo o in un altro da forze radicali, con derive come la guerra in Siria, ha certamente fatto crescere il consenso nei confronti delle scelte della monarchia. E’ un multipartitismo che difficilmente permette a una singola forza politica di guadagnare la maggioranza, ma quello che appare agli occhi stranieri è che la popolazione abbia più fiducia nel re che nei partiti”.

– Cosa consente al Marocco di godere di una stabilità politica interna così miracolosamente duratura?
“Credo sia proprio la capacità della monarchia di aprirsi alle riforme quel tanto da permettere di non essere percepita come rigida o fuori del tempo. E’ interessante ricordare che, secondo l’articolo 1 della Costituzione, il Marocco è “una monarchia costituzionale, democratica, parlamentare e sociale”. Il Parlamento si compone di due camere, la Camera dei Rappresentanti e la Camera dei Consiglieri. La prima è eletta a suffragio universale diretto ogni cinque anni, la seconda ogni sei a suffragio universale indiretto. Entrambe esercitano il potere legislativo. Tuttavia il re, come capo dello Stato, dispone di ampi poteri, incluso quello di nominare il capo di governo e tutti i suoi membri, all’interno del partito vincitore delle elezioni. Il re può sciogliere entrambe le Camere tramite decreto reale (dahir) e dichiarare lo stato di emergenza, ed è a capo delle forze armate e del consiglio superiore del potere giudiziario. Mohammed VI, attuale sovrano del Marocco, gode anche del titolo di “comandante dei fedeli”, ponendosi come autorità non solo politica ma anche spirituale. Considerando tutto ciò, non può che essere la monarchia stessa ad offrire stabilità perché di fatto il sovrano è appunto il fulcro di tutto”.

– E che cosa gli consente invece di soffrire una pressione terroristica minore rispetto ai Paesi vicini?
“I problemi non mancano ma certamente il territorio del Marocco è decisamente lontano dal drammatico Far West del Sahel. Ritengo che il fortissimo legame con i Paesi europei abbia sempre giocato a favore di Rabat in questo senso, anche in termini di “salute” delle forze dell’ordine. Quello che permette il dramma dei traffici di esseri umani sono certamente le bande criminali ma anche gli occhi chiusi delle forze di sicurezza dei Paesi interessati. In Marocco non manca la corruzione, ma non raggiunge i livelli di impunità delle zone diventate rotte indisturbate di traffici. E poi c’è anche il legame diverso con l’Ue, rispetto agli altri Paesi del Nord Africa. Ci sono vincoli e accordi presi. Il Marocco è il primo Paese del Mediterraneo ad aver firmato con la Commissione Europea, nel mese di giugno 2013, la “partnership sulla mobilità”. Certamente non mancano i problemi: periodicamente scoppiano tensioni e episodi di violenza a ridosso delle enclavi spagnole, le città autonome di Ceuta e Melilla, per la pressione di irregolari che cercano di raggiungere così il territorio dell’Ue a loro più prossimo. E bisogna tornare anche all’irrisolta questione del Sarahawi, cui abbiamo accennato. Il Sahara occidentale è una ex colonia spagnola annessa dal Marocco nel 1975. Gli indipendentisti del Fronte Polisario, sostenuti dall’Algeria, hanno combattuto per l’indipendenza della loro terra fino alla conclusione di un cessate il fuoco nel 1991, sotto l’egida delle Nazioni Unite ed in cooperazione con l’Organizzazione dell’Unità africana. L’accordo prevedeva anche lo svolgimento di un referendum tra la popolazione del Sahara occidentale sulla scelta tra l’indipendenza e l’integrazione nel Marocco. Il referendum, che inizialmente doveva tenersi nel 1992, è stato oggetto di ripetuti rinvii, anche per la difficoltà della missione delle Nazioni Unite (Minurso), di procedere alla registrazione degli aventi diritto al voto a causa di divergenti interpretazioni delle parti al proposito. Nell’aprile 2004, poi, il Marocco ha fatto sapere di non poter accettare lo svolgimento di un referendum che avesse tra le possibili opzioni quella dell’indipendenza. Semplificando molto, il Marocco è disposto a concedere uno statuto d’autonomia al Sahara occidentale, ma non è disposto a negoziare che sulla base di questo presupposto. Il Fronte Polisario chiede invece lo svolgimento di un referendum che rimetta al popolo saharawi la scelta tra l’indipendenza, l’autonomia, o l’annessione tout court al Marocco. Le posizioni nonostante diversi negoziati non sono sostanzialmente cambiate e permane una situazione di stallo. Resta tutta la ricchezza culturale di un Paese abitato fin dalla preistoria dai berberi e che ha conosciuto la colonizzazione di fenici, cartaginesi, romani, bizantini, arabi, francesi, spagnoli. La sua è una storia che rientra ovviamente in quella di tutta l’area del Maghreb ma che ha i suoi momenti di svolta e di distinzione molto netti. D’altra parte, il Maghreb si espande su una superficie geografica di oltre cinque milioni di chilometri quadrati, tra il bacino del Mediterraneo e il deserto del Sahara, e rappresenta da sempre un crocevia tra le civiltà mediterranee e quelle africane. Offre un’indicazione preziosa se si ragiona in termini di macroregioni, ma merita di essere studiato Paese per Paese”.

Fausta Speranza è giornalista inviata dei media vaticani, al Radiogiornale internazionale di Radio Vaticana dal 1992 e prima donna a occuparsi di politica internazionale nel quotidiano della Santa Sede L’Osservatore Romano nel 2016.
-Ha lavorato con uno dei padri del giornalismo in Italia, Sergio Zavoli. Ha collaborato con Famiglia cristiana, Limes, RadioRai, il Corriere della Sera (intervista alla supertestimone del caso Spallone), Rai Storia Tv.
– Ha realizzato reportage dall’Europa, dagli Stati Uniti, ma anche dal Messico e dall’Africa. In particolare, in Ghana ha documentato, entrando con la macchina da ripresa, il disastro di una delle più grandi discariche di rifiuti elettronici al mondo.
-Vincitrice di sette premi (in sezioni Radio, Tv e Libri).
-Ha pubblicato con Infinito edizioni Messico in bilico (2018) (Premio Giustolisi al Giornalismo d’inchiesta 2018), Fortezza Libano (2020) e Il senso della sete, (Premio Demetra 2021 e Premio Letterario Nazionale di Mesagne 2021)
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