Ucraina. Le difficoltà di Zelensky e l’errore della rottura con Mosca

di Dario Rivolta* –

È passato poco più di un anno dall’elezione del nuovo presidente ucraino Volodymiyr Zelensky e la popolarità che gli aveva consentito di raccogliere ben il 73% dei consensi al secondo turno ha cominciato a diminuire dal momento in cui ha dovuto fare i conti con la realtà dell’azione di governo. Il suo livello di gradimento resta tuttavia, almeno per ora, ancora più che accettabile, mantenendosi poco sotto il 60%.
Nessun altro politico ucraino raggiunge tale tasso di consensi e, nemmeno in precedenza, un singolo personaggio governativo era stato così popolare. Quanto il sostegno pubblico possa durare è però una domanda cui è impossibile rispondere poiché, a ben guardare, le promesse fatte in campagna elettorale che gli avevano garantito la fiducia degli elettori sono ancora ben lungi dall’essere realizzate.
Quando fu eletto giocò certo a suo favore l’estrema impopolarità dell’uscente Poroshenko, percepito dai più come un uomo corrotto e incapace di gestire il paese. Gli ucraini apprezzarono comunque anche i tre punti principali che si era ripromesso di affrontare e di risolvere: la fine della guerra interna, un aumento dello standard generalizzato di vita e la lotta alla diffusissima corruzione.
Forse un anno è ancora troppo poco per poter tirare le somme ed esprimere un giudizio, ma Zelensky ha capito che il sostegno verso di lui sta scemando e, come spesso succede, ha deciso di attribuire le colpe ai suoi sottoposti, indicandoli come i veri responsabili delle mancate riforme. Dopo solo sette mesi dall’insediamento ha quindi deciso di silurare il premier e molti altri ministri sostituendoli con volti nuovi. Nel discorso al parlamento in cui annunciava le dimissioni del governo e la nomina dei nuovi responsabili dei dicasteri disse esplicitamente che: ” L’Esecutivo di Honcharuk (il primo ministro uscente) non è stato un cattivo governo ma non è riuscito in nulla di ciò che doveva fare”. In particolare, il presidente si dichiarava insoddisfatto in merito alla mancata riforma della sanità pubblica, del soddisfacimento dei bisogni basilari della popolazione e del welfare in generale.
In realtà, il malessere crescente riguardava e riguarda proprio tutti e tre i punti del suo programma, a cominciare dalla continuazione della guerra nel Donbass. Non si può negare che ci abbia provato e l’incontro della fine dello scorso anno con Francia, Russia e Germania (Normandy four) sembrava aver rappresentato un passo in avanti. Infatti, ci fu subito uno scambio di 35 prigionieri tra le parti in conflitto, seguito poco dopo da un fatto analogo con numeri ancora maggiori. Purtroppo, la situazione politica interna a Kiev è più complessa di come aveva potuto immaginarla e la sua volontà di dialogare con la Russia su basi nuove è stata immediatamente criticata come “tradimento degli interessi nazionali” da parte degli strati più anti-russi della popolazione.
Non va dimenticato che gruppi di fanatici ucraini nazionalisti e antisemiti sono ancora armati e, presumibilmente sostenuti da paesi stranieri (Polonia? USA? Altri?), sono ancora in grado di mobilitare alcune frange della popolazione e causare disordini. Formalmente, il motivo per cui il cessate il fuoco non si è mai realizzato completamente è la diversa interpretazione che le parti danno su un punto degli accordi di Minsk 2. Si tratta del legame tra le elezioni che si dovrebbero tenere nelle zone secessioniste per segnare il loro ricongiungimento con il resto del paese e il controllo delle frontiere con la Russia. Kiev, spalleggiata da Washington, sostiene che le elezioni potranno aver luogo solo dopo che l’Ucraina si sia di nuovo impadronita delle proprie frontiere. I secessionisti, appoggiati in questo da Francia e Germania, si dicono disposti ad abbandonare le loro posizioni solo ad elezioni avvenute. Si teme infatti che, una volta che la frontiera con la Russia sia trornata sotto il controllo delle truppe di Kiev, non ci sarebbe più nemmeno la garanzia che le elezioni si possano tenere realmente, almeno in maniera libera. Oltre a ciò il punto più importante resta sempre l’accordo sottoscritto da entrambe le parti a Minsk, mai attuato dal parlamento di Kiev, di predisporre uno statuto di autonomia per le regioni russofone. Il risultato di questa mancanza è che, seppur in misura più contenuta rispetto al 2014/2015, nelle zone contese gli scontri armati continuano.
L’altro aspetto che aveva garantito a Zelensky un gran numero di consensi era il suo dichiarato proposito di porre un freno alla corruzione diffusa. Purtroppo, anche su questo tema, non sembra che si siano ottenuti grandi risultati.
Con la nomina del precedente primo ministro Honcharuk, Zelensky aveva cercato di far passare l’immagine di una propria indipendenza dal suo “sponsor” più o meno ufficiale, l’oligarca Rinat Akhmetov, e più in generale dagli oligarchi tutti. Tuttavia, quando il governo aveva cercato di toccare gli interessi del ricco Kolomoisky, ex proprietario di una banca nazionalizzata, e aveva provato a sostituire i top manager di una grande società pubblica che erano legati a quest’ultimo, ai nuovi dirigenti appena nominati fu addirittura impedito l’ingresso nell’azienda. Anche dopo aver cambiato tutti i vertici degli istituti deputati a combattere la corruzione e dopo che questi avevano ordinato diversi fermi(tra cui alcuni uomini legati a Poroshenko), nessuno degli arrestati è tuttora detenuto e i loro casi non sono ancora arrivati a processo. Molti pensano anche che non ci arriveranno mai. Come se non bastasse qualcuno ha cominciato a insinuare che il giovane presidente preferisca chiudere un occhio, forse per proteggere qualcuno della sua cerchia.
L’arrivo della pandemia di Covid-19, con il conseguente fermo di moltissime attività, ha creato un altro problema per Zelensky e il suo governo (il vecchio e il nuovo). Ben lontani dal riuscire a migliorare le condizioni di vita della maggior parte della popolazione anche prima della diffusione dei contagi, il blocco dell’economia ha ulteriormente peggiorato le condizioni del paese. Entro il 2020 l’Ucraina dovrebbe restituire circa 16 miliardi di dollari di prestiti ricevuti precedentemente da vari donatori, tra cui l’Unione Europea. È evidente che se non interverrà ancora una volta il Fondo Monetario Internazionale a Kiev non resterà che dichiarare il fallimento, con le conseguenze che si possono immaginare sui possibili crediti futuri e sull’economia in generale.
Forse, aver rotto i rapporti economici con la Russia non è stato poi così conveniente nemmeno per i nazionalisti ucraini più accesi.

* Già deputato, è analista geopolitico ed esperto di relazioni e commercio internazionali.