Venezuela. Come le sanzioni alla PDVSA impoveriscono l’economia del paese

di Alberto Galvi

Quest’anno il Venezuela si è trovato nella lotta di potere tra il presidente Nicola Maduro e il presidente ad interim Juan Guaidó. Il paese sudamericano sta vivendo il periodo più difficile della sua storia, con una crisi economica che sta affamando la popolazione.
Maduro attribuisce il crollo dell’economia alle sanzioni applicate da Washington contro il Venezuela e alla compagnia petrolifera statale PDVSA (Petróleos de Venezuela SA). Il petrolio costituisce oltre il 90% delle esportazioni venezuelane, che consentono l’ingresso di valuta estera necessaria per importare i beni di consumo.
In realtà la compagnia statale petrolifera venezuelana iniziò il suo periodo di crisi già nel 2003, quando licenziò 20mila lavoratori. Più recentemente la PDVSA ha fornito bassi salari ai suoi lavoratori a causa della mancanza di investimenti pubblici e dell’eccessiva estrazione di risorse da parte dello Stato. Inoltre gli alti rischi per gli investimenti privati misti ad una massiccia corruzione e furti di attrezzature hanno danneggiato l’azienda statale venezuelana.
La crisi è diventata insostenibile da quando Maduro è diventato presidente del paese e ha nominato ufficiali delle forze armate senza esperienza a guidare l’azienda petrolifera. La loro scelte imprenditoriali hanno portato la società venezuelana verso la rovina.
Washington ha sanzionato oltre alla PDVSA anche società che trasportano petrolio dal Venezuela a Cuba come la Caroil Transport Marine Ltd di Cipro e 3 gruppi con sede a Panama: Trocana World Inc, Tovase Development Corp e Bluelane Overseas SA.
Le misure emanate dagli Stati Uniti lo scorso aprile nei confronti della PDVSA hanno intenzione di soffocare economicamente il governo del presidente Nicolás Maduro, che è considerato illegittimo da Washington. Il Venezuela dipende fortemente dalla produzione di petrolio greggio, di cui il 41% delle sue vendite erano destinate agli Stati Uniti.
Per queste ragioni milioni di venezuelani sono stati costretti ad immigrare nei paesi vicini come Perù, Brasile, Ecuador, Colombia e Cile, vivendo una situazione di emergenza umanitaria senza precedenti, a causa del crollo dei servizi pubblici, della carenza di cibo e dei medicinali.
Le sanzioni imposte da Washington a Caracas riguardano anche le società statunitensi che operavano in Venezuela come Chevron, Halliburton e Baker Hughes, che erano autorizzate a lavorare nel paese fino alla fine di luglio.
Con queste sanzioni Washington è riuscita a scoraggiare molte compagnie straniere a lavorare con la compagnia petrolifera statale venezuelana. Per arginare queste perdite il Venezuela colloca una parte delle sue esportazioni di petrolio greggio in Cina e India.
A luglio c’è stato un calo delle importazioni dalla Cina del 40% e dall’India del 20%. La compagnia petrolifera statale russa Rosneft ha invece investito dal 2019 circa 9 miliardi di dollari in progetti in Venezuela, dove possiede anche 2 giacimenti di gas offshore.
La Casa Bianca ha vietato le transazioni tra società non statunitensi e la PDVSA che coinvolgono la Federal Reserve System, essenzialmente vietando l’uso di dollari statunitensi in tutte le transazioni con la società petrolifera statale venezuelana.
Per cercare di arginare le sanzioni imposte al paese sudamericano, la PDVSA ha pagato gli appaltatori stranieri in yuan per consentire al proprio paese di beneficiare dei fondi disponibili in Cina, senza passare attraverso la Federal Reserve System.
Questa operazione non è stata semplice per la PDVSA in quanto per effettuare un’apertura di conto corrente nelle banche cinesi, si è sottoposti a dei severi controlli che gli istituti di credito chiedono come requisiti alle aziende.
Un importante acquirente del petrolio venezuelano è la CNPC (China National Petroleum Corp). La PDVSA ha istituito inoltre una joint venture con l’azienda francese Total, la norvegese Equinor e la spagnola Repsol.
Le sanzioni imposte da Trump al Venezuela hanno cercato di far implodere la strategia di integrazione regionale e di alleanze strategiche intraprese dalla Repubblica bolivariana come per esempio quella del Petrocaribe.
L’intesa del Petrocaribe è stata avviata nel 2005 dai seguenti paesi: Antigua e Barbuda, Bahamas, Belize, Cuba, Dominica, Haiti, Giamaica, Saint Vincent e Grenadine, Saint Kitts e Nevis, Santa Lucia, El Salvador, Guyana, Grenada, Honduras, Nicaragua, Repubblica Dominicana, Suriname e Venezuela.
Questa convergenza ha permesso al Venezuela di offrire agli altri stati membri forniture di petrolio basate su un accordo finanziario agevolato. La sospensione di forniture di greggio invece riguardato 8 paesi: Antigua e Barbuda, Belize, Dominica, El Salvador, Haiti, Nicaragua, Saint Vincent e Grenadine e Saint Kitts e Nevis.
Durante i primi mesi in cui sono state applicate le sanzioni alla PDVSA, le esportazioni di greggio sono diventate solo di 600 mila barili al giorno. La ripresa è invece iniziata lo scorso novembre, quando la società petrolifera statale venezuelana ha esportato più di un milione di barili di petrolio al giorno, permettendo di pagare i suoi debiti alle compagnie russe, cinesi ed europee.
La dichiarazione dell’avvenuto aumento della produzione di greggio da parte del Venezuela è stato confermato nei giorni scorsi a Vienna, durante la recente riunione dei paesi membri dell’OPEC (Organization of the Petroleum Exporting Countries).
Ricordiamo che quest’anno il Venezuela era presidente di turno dell’OPEC, e in questa occasione il presidente della PDVSA Manuel Quevedo ha consegnato il turno di presidenza a Mohammed Arkabche, il ministro del petrolio algerino, che lo inizierà il 1 gennaio del 2020.

Nicolas Maduro.