Yemen. Accordo Per il cessate-il-fuoco ad Hodeida, Guterres punta alla soluzione politica

di Enrico Oliari

Al settimo giorno di trattative in Svezia mediate dall’Onu, il negoziatore dei ribelli Houthi, Mohammed Abdelsalam, e il ministro degli Esteri del governo yemenita riconosciuto, Khaled al-Yamani, hanno siglato con una stretta di mano il cessate-il-fuoco ad Hodeida, l’importante città portuale del paese mediorientale da settimane al centro di feroci scontri.
Soddisfazione è stata espressa dal segretario generale delle Nazioni Unite, Antonio Guterres, il quale ha tuttavia ricordato che restano aperti numerosi capitoli e questioni non risolte tra cui il futuro dell’aeroporto della capitale Sanaa e l’urgente necessità di soccorrere la popolazione prima di avviare un vero e proprio dialogo fra le parti ed arrivare ad un compromesso per la gestione politica del conflitto, per cui già a gennaio verranno avviati nuovi round di colloqui. Guterres ha spiegato che “Con l’accordo (di oggi, ndr.) è stato dichiarato un cessate-il-fuoco per l’intero governatorato di Hodeida e ci sarà un ritiro di tutte le forze sia dalla città che dal porto”, ma al-Yamani ha fatto sapere che il ritiro delle truppe regolari dal porto controllato dagli Houthi resta “un’ipotesi”, in quanto dovranno prima questi avviare la ritirata.
Per quanto riguarda l’aeroporto di Sanaa, altro teatro di asperrimi scontri e al momento controllato dai ribelli, i quali controllano anche la capitale, Guterres ha annunciato che la cosa verrà affrontata a gennaio. L’accordo prevede anche lo scambio complessivamente di oltre 15mila progionieri, e dovrà essere compiuto a nord lungo la strada che porta all’aeroporto di Sana’a (sotto controllo dei ribelli) e a sud su quella che va all’aeroporto di Sayun, controllato dai governativi.
La guerra nello Yemen ha preso il via nel gennaio 2015 a seguito del golpe degli houthi (sciiti), dietro al quale vi sarebbe l’Iran, che però nega: per mesi i ribelli avevano chiesto invano alcuni riconoscimenti come l’inserimento di 20mila appartenenti alla minoranza sciita nelle forze armate governative, l’assegnazione di 10 ministeri e l’inclusione nella regione di Azal, di Hajja e dei governatorati di al-Jaw. L’intervento della coalizione a guida saudita e che vede coinvolti Egitto, Sudan, Giordania, Marocco, Bahrain, Qatar e Emirati Arabi Uniti, ha permesso la ripresa di una parte dei territori, in particolare del governatorato di Aden, roccaforte del presidente Abd Rabbo Mansour Hadi, mente la capitale e la zona dei principali impianti petroliferi resta saldamente in mano ai ribelli sciiti, che sostenevano l’ex presidente Ali Abdallah Saleh, ucciso da loro stessi dopo che aveva cercato un compromesso con i sauditi.
Vista la grave crisi umanitaria che si è venuta a creare, con una pandemia di colera, 14 milioni di persone a rischio di morire di fame, un’intera popolazione allo sbando e più civili che ribelli uccisi nei bombardamenti sauditi, il Senato degli Stati Uniti ha votato per far avanzare una risoluzione che ponga fine al sostegno Usa alla coalizione a guida saudita, ma è probabile che la cosa si areni alla Camera dove i repubblicani sono la maggioranza, perlomeno fino al 3 gennaio quando subentreranno i deputati eletti con le recenti elezioni di medio termine.