Islanda. I Pirati mirano al governo: piace la democrazia che corre sul web

di C. Alessandro Mauceri

Islanda partito pirataNel 2013 in Islanda un nuovo partito è sceso in campo. Con solo il 5,1 per cento dei voti, riuscì a portare in Parlamento la proposta di abrogazione della legge sulla blasfemia e a guidarla fino alla vittoria finale.
Oggi quel partito è diventato di maggioranza relativa del paese e c’è chi dice che, dopo le elezioni anticipate seguite allo scandalo dei Panama Papers, che ha costretto il primo ministro Sigmundur David Gunnlaugsson a dimettersi, potrebbe toccare a loro governare. Se così fosse l’Islanda sarebbe governata dal Partito Pirata. Nato solo quattro anni fa, questo partito, fondato quasi per gioco da un gruppo di attivisti e hacker, era già riuscito a far eleggere tre deputati: in pochissimo tempo la sua popolarità è aumentata fino a diventare il primo partito dell’isola. Il programma presentato dai Pirati prevede il ritorno alla democrazia diretta, una maggiore trasparenza del governo, una nuova costituzione e anche la concessione dell’asilo politico a Edward Snowden. Accanto a proposte interessanti, però, ne sono state presentate altre che fanno pensare. Come quella di invitare la società che gestisce Pokémon Go a trasferirsi in Islanda per trasformare i seggi in Pokéstops (la giustificazione è che potrebbe servire ad aumentare il voto dei giovani). “Questo è un cambiamento guidato non dalla paura, ma dal coraggio e dalla speranza – ha detto Birgitta Jónsdóttir, leader del gruppo parlamentare dei Pirati -. Siamo popolari, non populisti”. “Il Partito Pirata ha successo perché mostriamo noi stessi come esseri umani”, ha detto Helgadóttir, uno dei rappresentanti del Partito Pirata in parlamento. “Non stiamo cercando di essere politici”.
Le preferenze secondo un sondaggio condotto dalla Kjarninn parlano di un 28,3 per cento di share, ben quattro punti più del secondo partito, il Partito Conservatore oggi al governo. Quanto basta per essere il partito al governo e imporre al paese cambiamenti sostanziali.
Un cambiamento così radicale da essere diventato oggetto di studi. Eva Heida Önnudóttir, politologa dell’Università dell’Islanda, ha affermato che è in atto una evoluzione all’interno del Partito Pirata: “Allora, rappresentavano chiaramente un voto di protesta contro l’istituzione”, ha detto paragonandoli ad altri partiti europei di protesta (come Podemos in Spagna o Syriza in Grecia). “Tre anni dopo, si sono distinti in modo più chiaro: non si tratta solo di protesta. Anche se non hanno programmi politici chiari in molti ambiti, la gente è attratta dai loro principi di trasformare la democrazia e migliorare la trasparenza”.
Un successo che sta facendo crescere questo movimento anche al di fuori dei confini islandesi: in molti altri paesi si stanno formando nuovi gruppi che viaggiano, come era facile prevedere, prevalentemente sul web. Utilizzando internet per il crowdsourcing, i “Pirati” hanno scelto di adottare una strada diversa da quella adottata da tutti gli altri partiti indipendentisti spuntati come funghi in Europa negli ultimi anni. Nessun leader supremo, nessuna “dittatura” di fatto (anche se inneggiante alla democrazia), nessun monopolio: tutti i membri possono presentare proposte e metterle ai voti sul web. Una diversità ideologica all’interno del partito che ha permesso anche di scavalcare la tradizionale divisione destra-sinistra, che ormai in un’Europa priva di ideali e ideologie sembra ogni giorno sempre più obsoleta.
È questo che ha permesso ai “Pirati” di andare all’arrembaggio del Parlamento islandese e, almeno stando ai numeri, di conquistarlo.