L’acqua all’origine dei conflitti in Medio Oriente

di Giorgia Pilar Giorgi *

L’acqua come risorsa strategica è all’origine di numerosi conflitti per il suo controllo in varie parti del globo. Chi la possiede in maggiori quantità si colloca in una posizione di forza rispetto agli altri Paesi. L’acqua come arma di ricatto è una realtà particolarmente diffusa nell’area del Medio Oriente. Basti pensare ad esempio al conflitto tra Israele e Palestina. In passato il governo israeliano ha varato un piano per la diversione delle acque del fiume Giordano verso il deserto del Negev suscitando il risentimento di Paesi come la Siria che, da quel momento ha accusato il governo di Israele di sfruttare in modo improprio le risorse idriche dell’area.
La tensione tra i due Paesi è cresciuta in seguito alla vittoria nella Guerra dei Sei Giorni dello Stato ebraico che da allora, oltre a controllare il territorio della Cisgiordania, di Gerusalemme est, della Striscia di Gaza, della Penisola del Sinai e tutte le risorse idriche della West Bank, controlla le Alture del Golan, un’area di elevata importanza geostrategica e punto di passaggio e di confluenza di circa un terzo delle risorse idriche dello Stato di Israele. Il dominio incontrastato che Israele esercita su questa porzione di territorio è, secondo Damasco, all’origine dello svuotamento e della salinizzazione del fiume Giordano verso il sud del Mare di Galilea, e causa del danneggiamento dell’agricoltura nel lato del fiume che fa capo alla Giordania.
Oltre alla Siria Israele è responsabile anche nei confronti dei palestinesi. Storicamente infatti lo Stato di Israele ha violato spesso il diritto collettivo del popolo palestinese all’uso delle proprie risorse idriche. I palestinesi non possono costruire, possedere o amministrare un impianto idrico senza il permesso dell’autorità militare israeliana e i loro pozzi non devono andare oltre i 140 metri di profondità, a differenza di quelli israeliani che possono raggiungere anche gli 800 metri. Sono state inoltre fissate delle quote di prelievo e per i palestinesi è previsto il divieto di irrigare nelle ore pomeridiane. Il popolo palestinese ancora oggi è minacciato dall’imponente prelievo che Israele fa delle risorse idriche nel territorio, in particolare della falda acquifera occidentale della Cisgiordania e dalle limitazioni imposte alla popolazione palestinese all’uso di acqua per fini alimentari e igienici. L’occupazione israeliana ha ostacolato lo sviluppo di una struttura idrica palestinese che, potrebbe garantire la massima utilizzazione delle risorse minime esistenti. Si calcola infatti che ogni palestinese dispone di 115 metri cubi d’acqua l’anno mentre gli israeliani ne hanno 250. Il diritto all’acqua del popolo palestinese è ulteriormente violato dalla costruzione del Muro in Cisgiordania che ha avuto fin dall’inizio un pesante impatto sulle comunità insediate in prossimità del Muro o tra il Muro e la Linea Verde.
Ad oggi la situazione nel territorio rimane fortemente iniqua dal momento che gli israeliani godono di maggiori possibilità in termini di sfruttamento delle risorse idriche rispetto ai palestinesi che si trovano a disporre di un quantitativo pro-capite di acqua giornaliero sotto la soglia minima di diritto.
Un altro Paese le cui risorse idriche continuano a essere usate impropriamente per perseguire fini diversi da quelli pensati in origine, è l’Iraq. Negli anni Novanta dopo la Prima Guerra del Golfo, Saddam Hussein inaugurò un acquedotto battezzato “Canale Saddam Hussein” che collegando il fiume Tigri al fiume Eufrate, oltre ad avere l’obiettivo dichiarato di irrigare le aride terre aveva anche un secondo obiettivo (non dichiarato), ovvero il prosciugamento delle Paludi del sud al fine di provocare l’esodo delle popolazioni sciite, ostili da sempre al regime del rais di Baghdad.
Oggi come allora la storia si ripete e le Paludi del sud dell’Iraq sono di nuovo sull’orlo della catastrofe. Questa volta l’approvvigionamento del Paese è compromesso dalla minaccia dello Stato Islamico della Siria e dell’Iraq che, dal giugno 2014 anno della sua proclamazione, promuove una jihad senza esclusione di colpi contro l’Occidente e la creazione di un grande Stato Islamico.
I miliziani hanno tagliato l’approvvigionamento verso le Paludi del sud assumendo, dall’inizio del 2013, il controllo della diga Tabqah collocata in posizione strategica lungo il fiume Eufrate. Oltre alle Paludi di Dhi Qar, l’IS, sembra coinvolgere nella sua “guerra dell’acqua” anche altre province come quelle di Babel, Karbala, Najaf, Qadisiyah e soprattutto di Anbar, il cui controllo consente di sfruttare per i propri fini la diga di Haditha, una delle più importanti della regione.
Attraverso la minaccia che l’IS esercita sulle principali dighe del territorio i miliziani si riservano in qualunque momento di decidere l’interruzione o la deviazione strategica dei flussi mettendo a rischio la sopravvivenza delle popolazioni autoctone costrette in una condizione di eterno pericolo. La scelta dello Stato Islamico di posizionarsi intorno alle dighe è strategica per due motivi: la presenza dell’acqua consente ai miliziani di poter sostare a lungo sul territorio prescelto e, allo stesso tempo è un modo per tenere sotto scacco un territorio provocando un’impasse dalla quale è difficile uscire infatti, qualora i miliziani dovessero trovarsi sul territorio di una diga sarebbe impossibile bombardare poiché, la distruzione di una di esse avrebbe effetti devastanti sulle popolazioni ivi insediate.
L’acqua è destinata ad assumere un’importanza sempre più rilevante nei rapporti tra gli Stati, con il rischio di dare origine a violenti conflitti. Possibili scenari risolutivi dipendono dall’esigenza di cambiare la disponibilità di questa risorsa e quindi riconsiderare il problema dell’approvvigionamento idrico sulla base di piani regionali multilaterali, con comuni accordi da parte di tecnici ed esperti del settore, cercando di considerare tale problema come indipendente da qualunque logica politica evitando la tentazione da parte di un qualunque Stato di utilizzare l’arma dell’acqua come strumento politico-strategico di ricatto.

*Analyst and Researcher Energy Security and Unresolved Conflicts in the South Caucasus. Political Analyst dell’Associazione “Amici dell’Azerbaigian Centro Sud Italia”.