I governi africani bloccano internet per reprimere il dissenso

di Alberto Galvi –

Negli ultimi anni molti paesi africani hanno compiuto notevoli progressi verso l’accesso online, ma questo non ha impedito a molti governi di avere il controllo dei mass-media e di controllare anche l’accesso a Internet e quindi di poter manipolare il loro utilizzo. Diversi governi africani cercano di zittire il dissenso interno bloccando l’accesso al web.
Con l’utilizzo degli smarphone si è avuto in Africa un aumento dell’utilizzo di Internet che altrimenti non sarebbe stato possibile a causa della relativa mancanza di connettività fisica e della mancanza di un accesso affidabile all’elettricità. Nel 2014 il 15% degli africani sub-sahariani possedeva uno smartphone, rispetto al 33% del 2018. I governi africani hanno però percepito Internet come un’arma in mano alle opposizioni, in quanto è uno strumento formidabile per il dissenso soprattutto contro i regimi non democratici. Comunque le leadership africane hanno gestito i principali mass-media a regime di monopolio, rendendo infinitamente più facile per lo stato monitorare le notizie e a diffonderle a proprio interesse.
Le proteste avvenute durante la Primavera araba del 2011 si sono infatti diffuse in tutto il continente grazie all’uso di Internet. Le interruzioni dei siti online sono diventate molto più frequenti in Africa dal 2015, con i governi che in alcuni casi ne hanno bloccato completamente l’accesso e in altri ne hanno solo bloccato l’accesso a piattaforme come WhatsApp, Facebook e Twitter. Nel 2016 ben 11 paesi africani hanno interrotto le comunicazioni via web come per le proteste antigovernative in Etiopia. Prima delle elezioni presidenziali ugandesi del febbraio 2016, sono stati bloccati i social-network come Twitter, Facebook, WhatsApp e YouTube con ripercussioni legali che saranno discusse a breve termine. Il governo tanzaniano è riuscito ad accusare cinque persone che avevano criticato il presidente John Magufuli sui social-media utilizzando la sua legislazione contro la criminalità informatica. 
In questi anni i cittadini di diversi paesi africani a causa dei loro governi hanno subito una repressione all’accesso online. Queste nazioni hanno una cosa in comune, le recenti proteste anti-establishment al loro interno. Per esempio il governo camerunese nelle sue regioni anglofone ha bloccato Internet nel 2017 per 93 giorni, mentre quello del Togo lo ha bloccato per estirpare le proteste dei sostenitori delle opposizioni contro il presidente Faure Gnassingbé. Lo scorso anno in Chad per coprire il dissenso interno nel paese sono state bloccate le piattaforme dei social-network come WhatsApp, Facebook e Viber. Tra la fine del 2018 e l’inizio del 2019 le leadership della Repubblica Democratica del Congo e del Gabon hanno interrotto le connessioni online dei loro cittadini a causa delle proteste antigovernative al loro interno.
Per soffocare il dissenso interno molti governi africani hanno deciso di tassare gli utenti dei social-network. Lo scorso anno il governo ugandese ha imposto una tassa su Twitter, Facebook e WhatsApp. La Tanzania ha approvato una legge sui creatori di contenuti di online costringendo i blogger a pagare fino a 900 dollari per una licenza di tre anni. Il governo dello Zambia, ha introdotto un’imposta sulle chiamate via Internet per WhatsApp, Skype e Viber. Il governo kenyota lo scorso anno ha approvato un disegno di legge sui crimini informatici per sorvegliare l’attività dei social-media. All’inizio di quest’anno a causa delle proteste per l’aumento dei prezzi del carburante il governo Zimbabwe ha ordinato una chiusura totale di Internet.
Un altro sistema per controllare i social-media è stato trovato dai governi kenyota e nigeriano attraverso i proxi (applicazioni), trattenendone i ricavi pubblicitari. Il governo egiziano ha vietato le chiamate effettuate tramite app sui social-media, bloccando centinaia di siti web locali e internazionali. Quest’anno il governo sudanese ha bloccato l’accesso ai social-network perché utilizzati per organizzare e trasmettere le proteste anti-governative contro la crisi economica del paese. Le misure adottate da questi governi oltre a neutralizzare il dissenso servono anche a riprendersi il controllo dei media.
Con le politiche di diniego all’accesso a Internet i paesi africani stanno solo facendo del male a se stessi e alle loro economie. I blocchi costanti dei siti online e dei social-media costano ai vari paesi milioni di dollari che non si possono permettere. Inoltre le interruzioni di rete hanno anche altre conseguenze economiche. Molti africani ricevono denaro dai parenti che vivono all’estero e senza il collegamento a Internet il trasferimento di denaro è bloccato. Purtroppo per loro il 2019 sarà un anno difficile con i governi africani che ordineranno la chiusura dei siti web non appena si presenterà una crisi.