Centrafrica. Continuano le violenze tra cristiani e musulmani

di Alberto Galvi

Nei giorni scorsi nella Repubblica Centroafricana almeno 50 persone sono state uccise e dozzine sono state ferite in mezzo a violenti scontri in una regione nord-orientale del paese. Gli scontri armati sono proseguiti questo fine settimana nella regione di Birao tra il RCAR (Renaissance of Central African Republic) e il MCALJ (Movement of Central African Liberators for Justice).
Le attività dei gruppi armati ostacolano anche la consegna di aiuti umanitari alla popolazione. Il personale di aiuto è spesso costretto a fuggire rifugiandosi nelle chiese, nelle moschee o nelle aree vicine dove sono dispiegate le forze di pace MINUSCA (Mission multidimensionnelle intégrée des Nations Unies pour la stabilisation en République centrafricaine), formate da circa 12 mila unità.
La Repubblica Centrafricana, uno dei paesi più instabili del mondo, è stata gettata nella peggiore crisi della sua storia all’inizio dal 2013 con l’espulsione dell’ex presidente Francois Bozize da parte dei ribelli Seleka scatenando una spirale di violenza tra milizie musulmane e cristiane.
In seguito sono state uccise migliaia di persone durante la guerra civile negli scontri tra i gruppi cristiani anti-Balaka e Seleka che non sono movimento apertamente religioso, anche se la maggior parte sono musulmani.
Nella Repubblica Centroafricana l’80% del suo territorio è ora sotto il controllo di gruppi armati, i quali hanno firmato un accordo di pace nel febbraio del 2019 a seguito di colloqui. Il gruppo etnico principale del paese sono i Baya con il 33%, seguiti dai Banda con il 27%, i Mandjias con il 13% e i Saras con il 10%. Gli altri gruppi etnici sono: Mboun con il 7%, M’Baka con il 4%, Yakoma con il 4%.
Nel febbraio del 2016 si sono tenute le elezioni presidenziali che sono state vinte con il 62,71% da DescrizioneFaustin Touadera, che ha sconfitto al primo turno Anicet-Georges Dologuele, che ha ottenuto solo il 37,29% dei voti.
Dalla fine del 2016, la violenza è divampato quasi ovunque nel paese africano con la rinascita di gruppi armati, che hanno portato alla morte di un gran numero di civili e ad un massiccio sfollamento di quelle aree.
Nel nord-ovest la crisi ruota attorno a gruppi armati, così come nella parte centrale del paese i conflitti perenni insorgono a causa degli spostamenti di bestiame. La maggior parte della popolazione vive nelle zone rurali principalmente lavorando come agricoltori e allevatori per sostenere sé stessi e la propria famiglia.
Per quanto riguarda i ribelli della parte orientale del paese stanno conducendo una guerriglia per controllare zone di influenza e le risorse. I legami tra gruppi ribelli e comunità locali sono così rafforzati e il numero di milizie locali è in aumento, con attacchi mirati contro le minoranze musulmane come quelli che poi sono accaduti anche nelle ultime settimane.
Nonostante sia uno dei paesi più poveri del continente africano il paese è ricco di risorse minerarie come diamanti, uranio, legname, oro, petrolio, energia idroelettrica ecc. Inoltre la lotta tra il governo e i suoi oppositori rimane un freno alla rivitalizzazione economica.
A niente sono valsi all’inizio del 2019 gli accordi di pace firmati per la settima volta in 8 anni. Numerosi attori internazionali hanno partecipato a questi colloqui di pace come l’Onu (United Nations), l’Ua (African Union) e l’Ue (European Union) e numerosi altri paesi africani come il Ciad e l’Angola.
Anche se i colloqui hanno avuto un maggiore sostegno internazionale rispetto al passato, lo spargimento di sangue di queste settimane rischia di mandarli in fumo. La soluzione per una pace duratura sembra ancora essere lontana.