Gibuti. Periodo travagliato per il presidente Guelleh

di Valentino De Bernardis –

guelleh ismail omarPrimi grattacapi interni per il presidente Ismaïl Omar Guelleh. Martedì 9 febbraio i partiti di opposizione extraparlamentare hanno difatti annunciato attraverso un comunicato congiunto la decisione di prendere parte alle elezioni presidenziali del prossimo aprile. Annuncio di portata storica dato che gli stessi avevano boicottato le due precedenti tornate elettorali, come segno di protesta contro la scarsa libertà di espressione, e la poca trasparenza del processo elettorale, senza però riuscire ad incassare alcun dividendo dalla loro linea politica.
Nonostante le piccole dimensioni del paese africano, e la quasi totale assenza di risorse naturali, le prossime elezioni presidenziali saranno osservate con vivo interesse da parte dei maggiori attori internazionali data la sua posizione strategica.
Il consolidamento della potenza cinese, l’affermazione di Addis Abeba ad hub economico regionale, il ritorno di Teheran sul palcoscenico mondiale, e il rinnovato confronto diplomatico (e non solo) di questi con Riyad nella penisola arabica, hanno reso Gibuti un importante perno per gli equilibri geopolitici mondiali.
Non a caso, ad avere una presenza militare nel paese non hanno di fatto rinunciato i francesi, rimasti anche dopo la concessione dell’indipendenza l’8 maggio 1977, e neppure Washington che a Gibuti ha stabilito la base de dell’U.S. Africa Command, il cui accordo di locazione è stato rinnovato nel 2014 per altri venti anni ad un costo di $70 milioni all’anno. Nel corso del tempo alle due potenze sopracitate si sono aggiunte Giappone, Germania, Italia e Spagna che partendo dal porto gibotiano portano avanti il lori impegno nella lotta alla pirateria lungo le coste yemenite e somale.
Alla lista dei paesi presenti dovrebbe aggiungersi nel breve periodo anche la Cina. Il governo di Pechino, facendo suo l’impegno per la messa in sicurezza di importanti rotte commerciali, nel novembre 2015 ha firmato un accordo per la creazione di una imponente base militare per il People’s Liberation Army Navy PLA-N nella regione di Obock, nel Golfo di Tagiura in corrispondenza dell’ingresso nel Mar Rosso.
Proprio dalla rinnovata importanza geopolitica del suo paese, il presidente Guelleh sembra voler cercare una legittimazione politica internazionale da poter spendere anche in politica interna. Se difatti per Pechino l’installazione di una base militare permanente rappresenta la possibilità di presidiare direttamente un continente dove, nonostante i forti investimenti, ha sempre avuto una presenza limitata (basta ricordare che nel 2011 ha dovuto noleggiare le imbarcazioni per procedere al rimpatrio dei connazionali da una Libia prossima alla guerra civile), per Guelleh lo stesso accordo ha significato una potenziale diminuzione dell’indipendenza dai paesi occidentali. Un piano politico ben definito che potrebbe permettere a Guelleh di non preoccuparsi delle accuse di non rispetto dei diritti umani che potrebbero sopraggiungere, ad esempio, dagli Stati Uniti, e perpetuare un sistema politico in cui i partiti di opposizione hanno margini di manovra sempre più ridotti.
Un attivismo politico ancor più sottolineato dalla decisione il 6 gennaio 2016 di interrompere i rapporti diplomatici con l’Iran per solidarietà all’Arabia Saudita dopo l’attacco all’ambasciata Saudita di Teheran di inizio anno. Una virata con cui Guelleh si è garantito la possibilità di poter accedere ai piani di cooperazione energetica con Riyad (oltre che a importanti finanziamenti), di cui Teheran non può al momento disporre. Una decisa linea politica che come ultimo passo ha portato lo scorso 23 gennaio alla ripresa dei rapporti diplomatici tra Gibuti e gli Emirati Arabi Uniti, come ufficializzato congiuntamente dei due ministri degli esteri Mahmoud Ali Youssouf e Abdullah bin Zayed al Nahyan.
Se da una parte l’interdipendenza tra politica estera e politica interna creata potrà aiutare Guelleh a concorrere e vincere alla successione di se stesso, nel medio-lungo periodo potrebbe creare i presupposti per la nascita di una opposizione sempre più forte e matura, capace di trovare sponde importanti anche fuori dai confini nazionali.

@debernardisv
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