Giulio Regeni: ennesimo schiaffo dell’Egitto. Come può reagire l’Italia?

di Valerio Manzo

Le critiche della Procura generale egiziana ai magistrati di Roma.
In un comunicato della Procura generale i magistrati del Cairo hanno replicato alle accuse mosse dalla Procura di Roma contro i quattro membri dei servizi segreti egiziani che, in base agli elementi emersi nel corso delle indagini chiuse il 10 dicembre scorso, sono ritenuti i responsabili dell’omicidio del ricercatore friulano rapito, torturato e ucciso nel 2016 in Egitto.
Secondo il parere di Hamada al-Sawi, il procuratore generale che ha posto la propria sigla sul comunicato, la Procura di Roma ha condotto le indagini “in maniera scorretta”, poiché “tutto ciò che l’autorità italiana ha evocato è basato su false conclusioni illogiche ed è contrario a tutti i fondamenti giuridici internazionali e ai principi del diritto che necessitano la presenza di prove certe nei confronti dei sospettati”. L’errata procedura seguita nel corso delle indagini avrebbe portato la Procura di Roma ad una “percezione difettosa degli eventi e una perturbazione della comprensione della natura del lavoro degli ufficiali di polizia, delle loro procedure e della natura dell’inchiesta compiuta sul comportamento della vittima”.

La tesi del complotto.
Quanto al movente dell’omicidio, al-Sawi si dice certo di conoscere la verità. La premessa del procuratore è che “il comportamento di Giulio Regeni era sospetto” e che per questo il ricercatore era stato effettivamente messo sotto inchiesta dalle autorità egiziane. Le attività “sospette” di Giulio avrebbero condotto ignoti, che conoscevano “i suoi movimenti non consoni, a commettere il crimine, torturandolo, affinché fosse attribuito alla sicurezza egiziana. Infatti hanno gettato il suo corpo a lato di una struttura appartenente alla polizia e in coincidenza con la visita in Egitto di una delegazione economica” proveniente dall’Italia. Secondo la magistratura egiziana quindi a determinare la morte di Regeni sarebbe stata la volontà di non meglio precisate “parti” intenzionate a deteriorare i rapporti tra l’Italia e l’Egitto. Tale curiosa tesi tuttavia si contraddice con la teoria (riportata anch’essa nel documento della Procura generale!) secondo la quale i responsabili della scomparsa e della morte di Giulio sarebbero dei semplici rapinatori. A questo proposito, come è evidente, non si comprende perché una banda di comuni malviventi avrebbe voluto determinare un peggioramento delle relazioni tra i due Paesi.

L’Italia non ci sta.
Il comunicato della Procura generale egiziana, in sostanza, costituisce l’ennesima dimostrazione dell’indisponibilità del Cairo a collaborare con la magistratura italiana. Da Roma si sono immediatamente levate alte innumerevoli voci che bollano come inaccettabili le ipotesi e le illazioni arrivate dall’altra sponda del Mediterraneo. La Farnesina ha annunciato di voler lavorare in tutte le sedi – compresa l’Unione Europea – facendo ogni sforzo utile affinché la verità possa emergere. Duro il commento su Facebook di Roberto Fico, presidente della Camera dei Deputati: “Ancora una volta l’Egitto dimostra di non voler collaborare per fare luce sulla morte di Giulio Regeni. (…) Mentire sapendo di mentire. Per questo la Camera ha sospeso le relazioni diplomatiche con il Parlamento egiziano”. David Ermini, vice presidente del Consiglio superiore della Magistratura, ha chiarito che l’Italia andrà avanti col processo istruito dalla Procura di Roma, anche se da parte egiziana non arriverà alcuna collaborazione, non sarà possibile svolgere atti giudiziari in Egitto, i quattro imputati non si presenteranno in Italia e le decisioni finali dei giudici saranno ignorate.

Abdel Fatah al-Sisi. (Foto Facebook).
L’Unione Europea e i suoi limiti.
Quanto alla possibilità di prendere provvedimenti contro l’Egitto per il suo deplorevole comportamento, l’ipotesi ora al vaglio (tutt’altro che di probabile realizzazione) è quella dell’imposizione di sanzioni insieme agli altri Paesi dell’Unione Europea. A questo sta lavorando il ministro degli Esteri Luigi Di Maio, intenzionato a portare la questione all’attenzione dei suoi omologhi europei in occasione della riunione prevista per il prossimo 25 gennaio. In realtà un timidissimo segnale dall’Europa era già arrivato il 16 dicembre, quando il Parlamento europeo aveva approvato una risoluzione che, oltre a chiedere esplicitamente giustizia per Regeni, denunciava l’aumento delle incarcerazioni preventive, delle esecuzioni, degli arresti arbitrari e delle violenze contro i cittadini che si oppongono al presidente al-Sisi. Un atto sostanzialmente simbolico e non vincolante, privo di efficacia e di immediate conseguenze, che non impegna affatto né le altre istituzioni europee né i singoli Stati membri a subordinare le relazioni col Cairo al rispetto dei diritti umani e delle libertà fondamentali. È l’ennesima dimostrazione dell’incapacità (oppure scarsa volontà?) dell’Unione Europea di esprimere nel concreto una posizione in politica estera, di parlare con una sola voce, che sia chiara e risoluta. La politica estera dell’Europa nel Mediterraneo, infatti, è ancora costituita dalla somma delle politiche estere dei singoli Stati membri: questo meccanismo, però, ha dimostrato infinite volte di entrare in crisi quando gli interessi strategici di un Paese si rivelano conflittuali con quelli di un altro Stato. Ne è un esempio lampante proprio quanto sta accadendo tra Francia ed Egitto, con l’Italia intera allibita per gli onori con cui Macron ha recentemente accolto a Parigi il presidente egiziano al-Sisi, insignito persino della Gran croce della Legion d’Onore.

Come può reagire l’Italia.
Dall’Europa, per farla breve, l’Italia per il momento non deve aspettarsi altro che dichiarazioni di sostegno, appoggio e solidarietà. Ad ogni modo, sembra difficile che il governo Conte decida di tradurre il proprio malcontento in forti misure di carattere diplomatico, che incrinerebbero definitivamente le relazioni con un Paese che resta strategico per Roma in vari dossier, dalla crisi libica alla questione energetica, dal commercio alla lotta al terrorismo. Alcuni auspicano che il governo nostrano prenda un provvedimento durissimo contro l’Egitto, come il ritiro dell’ambasciatore italiano al Cairo. Altri, compresi i genitori del ricercatore friulano, chiedono invece che le sedi diplomatiche italiane non vengano chiuse, ma che lo stesso ambasciatore sia richiamato in Italia per consultazioni. In quest’ultimo caso, Roma “ammonirebbe” simbolicamente il Cairo: il richiamo, infatti, non costituisce una vera rottura dei rapporti bilaterali tra gli Stati, sebbene ad esso possa seguire il ritiro, con la conseguente chiusura di ambasciata e consolati e la definitiva rottura dei rapporti bilaterali.

Si faccia politica estera.
L’Italia probabilmente continuerà a scartare decisioni dalle conseguenze particolarmente pesanti. Il caso Regeni non deve far dimenticare che l’Egitto ricopre sul mappamondo una posizione di vitale interesse: non è solo il più importante vicino di casa della Libia, ma è anche la porta d’ingresso all’Africa subsahariana e al Medio Oriente. La politica estera dell’Italia dovrà svilupparsi in maniera tale da mantenere vivi e ben saldi i rapporti con un interlocutore estremamente rilevante nello scacchiere del Mediterraneo, senza che questo determini la rinuncia alla ricerca della verità e della giustizia per Regeni. Il rapporto bilaterale con l’Egitto, in poche parole, non può rischiare di essere sospeso fino al giorno in cui dal Cairo arriverà la tanto agognata collaborazione. Richiamare o ritirare l’ambasciatore italiano al Cairo significherebbe lasciare definitivamente il campo alla Francia e ad altri  attori extra-europei (in primis Russia e Turchia) che sono sempre più influenti nel Mediterraneo. Per questo, non stupisca la recentissima consegna alla Marina Militare dell’Egitto della prima delle due fregate militari Fremm di Fincantieri, naturale conseguenza degli accordi stipulati fra le parti alcuni mesi fa e autorizzati dal governo italiano. L’episodio, comprensibilmente, non è stato per nulla gradito dai genitori di Giulio, che sono umanamente coinvolti nella vicenda e sperano che l’Italia non voglia sacrificare la ricerca della verità per il giovane ricercatore in cambio del perseguimento dei propri interessi strategici. In questo senso si capisce la loro decisione, annunciata il 31 dicembre durante la trasmissione televisiva Propaganda Live, di presentare un esposto contro il governo italiano per aver violato la legge 185/90, che vieta l’esportazione di armi verso Paesi i cui governi siano responsabili di gravi violazioni dei diritti umani, accertati dai competenti organi dell’Unione Europea, del Consiglio d’Europa e dell’ONU.