Myanmar. Torna la guerriglia Arakan: secondo attacco in tre mesi

di Gianluca Vivacqua – 

Fino ai fatti del 9 marzo scorso di Yoetayoke si parlava come di un’oasi di pace e di progresso nella regione birmana di Rakhine. A luglio del 2018, infatti, il suo ospedale si dotò – e fu praticamente il primo a metterlo in funzione, nel panorama sanitario di quello stato – di un moderno sistema di purificazione delle acque, donato da Israele. Otto mesi dopo, Yoetayoke non è più il presidio di sviluppo a pochi passi dalla capitale Sittwe, almeno non per le cronache dell’immediato. L’ennesimo episodio di guerriglia secessionista, infatti, lo ha reso l’ultimo teatro di un attacco ad una stazione di polizia, costato la vita a nove agenti. L’attacco, come nota il sito Elevenmyanmar, è il secondo dall’inizio dell’anno volto contro le forze dell’ordine: già lo scorso 4 gennaio, infatti, i miliziani che combattono per l’indipendenza dello stato di Rakhine avevano aperto il fuoco contro la polizia. Nel mirino quattro avamposti nella città di Buthidaung: e i morti tra le file dei tutori della pubblica sicurezza erano stati tredici.
Minoranze votate al martirio e minoranze che reagiscono alle persecuzioni. Queste le due facce del Myanmar ai margini del buddhismo theravāda: da una parte i Rohingya, i musulmani a rischio genocidio nello stato di Rakhine; dall’altra i Kachin, i cristiani che, dal 1961, con un’organizzazione e una milizia dedicate, lottano per l’indipendenza della loro regione, il Kachin appunto, dallo stato centrale. A dir la verità, dal 2009, a dare una mano alla causa indipendentista Kachin ci sono proprio i guerriglieri che vengono dallo stato di Rakhine; o meglio, dallo stato di Arakan, come questi patrioti preferiscono chiamare la loro terra, in ossequio alla denominazione originale.
La milizia Arakan, com’è logico, non si è costituita solo per dare un appoggio militare ai Kachin, a cui deve l’addestramento e anche alcune delle basi che tuttora utilizza; il suo obiettivo, più ambizioso, è quello di combattere a propria volta per l’indipendenza della regione da cui proviene. Da un certo punto di vista sembra di parlare di versioni indocinesi dell’Ira, ma c’è una differenza di fondo tra i guerrieri nazionalisti di Michael Collins e gli indipendentisti Arakan e Kachin. L’Ira aveva una caratterizzazione religiosa evidente, combatteva per i cattolici contro i protestanti filo-inglesi; al contrario, l’AA (Arakan Army), come anche il KIA (Kachin Independence Army), lottano in nome di tutte le comunità etnico-religiose del loro stato. Questo fa di entrambi gli eserciti due sigle aconfessionali, abbastanza lontane da azioni di guerriglia (o, peggio ancora, terroristiche) ispirate da un qualche fanatismo religioso. Sanguinosi, gli attacchi degli Arakan e dei Kachin, ma senza esaltazione jihadista. In essi, semmai, si può vedere quel furore patriottico che rende piuttosto le due milizie parenti prossime delle Tigri Tamil, la cui parabola storica si concluse proprio in quel 2009 che vedeva l’esercito Arakan nascere. Per un esercito di liberazione che si scioglieva, definitivamente messo in ginocchio dalle truppe presidenziali dello Sri Lanka, un altro che si costituiva: un passaggio di consegne del tutto casuale, eppure significativo.