Le emissioni di Co2 forse in Ue o in alcuni paesi diminuiscono. Ma non abbastanza

di C. Alessandro Mauceri –

Nei giorni scorsi il Parlamento europeo si è pronunciato a favore di un taglio del 40% delle emissioni di CO2 per auto e furgoni entro il 2030 (con un traguardo intermedio del 20% per il 2025). Ago della bilancia pare sia stato il maggiore gruppo politico europeo, il Ppe, che ha ridotto gli obiettivi nel timore delle reazioni per la competitività del settore dei trasporti, uno dei più importanti settori industriali dell’Europa.
La Commissione ambiente del Parlamento in realtà aveva richiesto una misura ben più dura e una riduzione del 45% entro il 2030 per le emissioni delle flotte di auto e furgoni dei produttori automobilistici. Come se non bastasse la misura approvata non è definitiva. La parola ora passa alla Commissione europea, che aveva proposto una misura ben più blanda e una riduzione del 15% entro il 2025 e del 30% entro il 2030 e per di più rispetto ai livelli del 2021 (quindi ancora tutto da vedere). La decisione finale dovrà essere negoziata con il Consiglio d’Europa.
La parola poi passerà ai paesi membri, le cui posizioni appaiono tutt’altro che unitarie. La Germania ad esempio ha già annunciato che appoggerà la proposta iniziale della Commissione. Altri governi tra cui la Francia, vorrebbero limiti più alti.
In realtà, come già avvenuto in altre occasioni, si tratta di misure che quasi certamente non risolveranno il problema. Innanzitutto perché, in base alla regole previste dal Parlamento, la riduzione delle emissioni di ossidi di carbonio (COx) e di ossidi di azoto (NOx) entro il 2030, non sarebbero vincolanti: le case automobilistiche non in regola dovrebbero solo pagare una multa all’Ue, da utilizzare per finanziare i programmi di riqualificazione professionale per i lavori del settore automobilistico. Ma quanto e come e per cosa non lo ha detto nessuno.
A questo si aggiunge che, da anni, le prove delle emissioni dei veicoli sono oggetto di polemiche e sono stati molti i casi in cui veicoli “certificati” per una certa classe di emissioni, hanno dimostrato sulla strada di inquinare molto di più. E tutto questo senza che venisse fatto concretamente molto nei confronti delle case automobilistiche inadempienti.
Ma la cosa più rilevante è che le emissioni del comparto automobilistico sono solo una delle cause delle emissioni di CO2 nell’atmosfera. Una parte consistente, ad esempio, è costituita dalle emissioni delle grandi navi (specie le portacontainer). Si tratta di un problema ben noto alle autorità internazionali. Meno di due anni fa, il Comitato per la Protezione dell’Ambiente Marino (MEPC) dell’IMO, l’Organizzazione marittima Internazionale, ha approvato un accordo sulla “strategia iniziale per la riduzione delle emissioni marittime” nel chiaro tentativo di spegnere, almeno per il momento, i riflettori accesi dalla COP di Parigi sulle emissioni di CO2 e sui potenziali responsabili.
L’accordo, siglato durante il 72mo vertice dell’MEPC, prevedeva una riduzione di “almeno” il 50% delle emissioni del settore navale. In pratica una ammissione dei responsabilità sulle dimensioni del problema. E sull’inquinamento dell’aria, soprattutto in aree portuali o limitrofe. A confermarlo sono le misurazioni effettuate nei pressi del porto di Genova, e di altre città italiane, dall’associazione “Cittadini per l’Aria” con il supporto scientifico di esperti della ONG tedesca NABU. Le concentrazioni registrate mostrano elevatissime percentuali di particolato ultrafine, superiori addirittura a 40 volte quelle registrate in zone con aria “pulita”. Le misurazioni sono state condotte a 800 metri dal porto durante le operazioni di attracco delle navi da crociera e dei traghetti. I picchi rilevati durante le fasi di attracco e partenza delle navi hanno fatto rilevare picchi fino a 80.000 parti per centimetro cubo (a fronte di valori standard inferiori a 2000 pt/cc; da 3000 a 5000 pt/cc nelle grandi città, per arrivare a 10,000 pt/cc in strade con molto traffico).
In base ai regolamenti internazionali approvati, da gennaio 2018, le società di trasporto marittimo hanno l’obbligo di controllare le emissioni, il consumo di carburante e altri parametri. Dal 2019, entro il 30 aprile di ogni anno, queste società dovranno presentare alla Commissione attraverso la Teti MRV (un apposito sistema di informazione dell’Unione Europea attualmente in fase di sviluppo da parte dell’Agenzia europea per la sicurezza marittima) una autocertificazione sulle emissioni. SI tratta come è evidente di misure oltremodo blande: se già non sono bastati i controlli eseguiti da terzi e l’omologazione dei veicoli stradali in base alle emissioni, si pensi a cosa servirà “obbligare” ad una autocertificazione navi che solcano indisturbate e incontrollate gli oceani.
A questo si aggiunge un altro aspetto, non meno importante. Adottare misure (come la direttiva del Consiglio Europeo relativa al tenore di zolfo dei combustibili per uso marittimo) che valgono in alcuni stati e non in altri serve a poco: se nel Mar Baltico, nel Mare del Nord e nella Manica vengano usati carburanti il cui tenore di zolfo non supera lo 0.10%, al contrario la mancanza di controlli nel Mediterraneo, consente spesso di utilizzare carburanti che a terra non sarebbero ammessi. Carburanti estremamente inquinanti e che potrebbero rendere vani i tentativi di ridurre le emissioni di sostanze pericolose per l’ambiente e per la salute dei cittadini.
Le previsioni non lasciano prevedere un futuro roseo. Studi scientifici dimostrano che, a breve, le emissioni derivanti dal trasporto navale supereranno quelle prodotte sulla terraferma. Le analisi più recenti prevedono, addirittura, che le emissioni derivanti dal trasporto navale, oggi responsabili del 2,5% dei gas climalteranti, aumenteranno entro il 2050 in una misura che si aggira fra il 50% al 250%.
La conclusione è una sola: è inutile limitare le emissioni delle automobili (peraltro con norme blande e poco efficienti) se poi non si fa nulla per limitare le emissioni di altri soggetti inquinanti come le centrali elettriche o le navi. Intanto a due mesi dalla COP24 a Katowice, in Polonia il governo ha annunciato di voler aprire una nuova centrale a carbone …!